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Altro che “Nada”: gli argentini hanno tirato fuori una grande miniserie. Con Robert De Niro, quello vero

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su Nada

Robert De Niro? Quel Robert De Niro? In una serie tv? Una miniserie argentina semisconosciuta in Europa? Ebbene sì: per qualche motivo, probabilmente connesso al legame dell’attore con il protagonista Luis Brandoni (e a un corposo cachet che non fa mai male), l’artista italo-americano è sbarcato in tv nei mesi scorsi per partecipare a una serie che non sta facendo parlare granché di sé, almeno dalle nostre parti. Il fattore sorprende da un po’: se da un lato Nada, la miniserie in questione, sembra esser stata concepita per conquistare in gran parte i mercati sudamericani, dall’altra la presenza di un nome del genere – uno dei nomi cinematografici più importanti di sempre – dovrebbe rappresentare un motivo più che valido per offrire una casa di risonanza mediatica all’altezza della situazione. Perché è bene chiarirlo da subito: quella di Robert De Niro, comparso negli anni in rarissime serie tv e sempre con partecipazioni marginali, non è solo una comparsata. Questo è un ruolo vero, strutturato, quasi da co-protagonista: il suo Vincent Parisi, scrittore e giornalista di fama mondiale sbarcato in Argentina per aiutare un amico impegnato nel lancio del romanzo, è la voce narrante della serie e compare ampiamente nell’ultima delle cinque puntate di Nada.

Lo fa alla grande: De Niro, svestiti i panni del “nonno Alberto” che troppo spesso ha indossato negli ultimi anni, si impegna a fondo all’interno di una narrazione ambiziosa e suggestiva con un’interpretazione degna del suo iconico nome, mostrando ancora una volta delle deliziose skills comiche che sarebbe bene valorizzare con maggiore costanza e fuori dai soliti deprimenti circuiti cinematografici. Ma pochi sembrano essersene accorti, finora: mentre in Argentina Nada è diventato in pochi mesi un piccolo cult televisivo, in Italia è stato accolta nel silenzio generale con sostanziale indifferenza. La miniserie, disponibile da alcuni giorni su Disney+ col titolo tradotto in inglese “Nothing”, non ha ottenuto finora grande attenzione da parte del grande pubblico. Beh, è un peccato: Robert De Niro non è il solo motivo valido per dare un’opportunità a un titolo argentino che pare attirare lo scetticismo di una platea abituata ad altro, e non è addirittura il motivo principale per farlo. Perché sì: De Niro è De Niro, ma Nada sarebbe stata una gran cosa anche senza di lui. E avrebbe tutto per essere per tutti, per pochi. Intercettando i gusti degli europei (italiani inclusi) con un linguaggio peculiare che non rinuncia a un’abile universalità al passo coi tempi.

Ma di cosa parla Nada?

La comedy, scritta da Gaston Duprat e Mariano Cohn, è composta da cinque episodi da mezzora circa e mette al centro del racconto il critico gastronomico Manuel Tamayo Prats (interpretato da uno straordinario Luis Brandoni), cinico e disilluso cantore del cibo argentino e di ogni parte del mondo, costretto a reinventare la propria vita dopo la dipartita di una persona che si era presa cura di lui per tantissimo tempo. Manuel è un uomo integerrimo e ostinatamente conservatore, almeno finché si parla di quello che viene servito a tavola: i suoi dogmi sembrano essere insuperabili, ma si scontrano con un mondo in evoluzione e alla necessità improvvisa di doversi rimettere in discussione imparando a stare in un mondo che pare non essere più quello in cui aveva pontificato per decenni. L’ingresso nella sua vita della “ordinaria” Antonia, una dolcissima giovane paraguaiana che mostra nel tempo delle qualità sorprendenti, lo aiuterà a galleggiare, migliorarsi in un bagno di normalità e ritrovare una dimensione appropriata alla sua “straordinaria” figura, “svilita” dall’incombere di banali necessità quotidiane e dal declino di un nome che non rappresenta più una garanzia aprioristica per chiunque orbita intorno a lui.

Posta in questi termini, sembra essere una serie come tante altre: quella di Manuel, seppure dotata di sfumature profondamente radicate nel microcosmo di Buenos Aires, è una maschera che si presenta persino stereotipata a una primissima occhiata, ma è sufficiente seguirlo un attimo per capire che del solito burbero radical chic d’altri tempi, un bel po’ dandy e moderatamente nostalgico, non resta altro che il presupposto per una strutturazione approfondita e sfaccettata. E non solo: il racconto di Nada si incentra su Manuel per schiudersi nella narrazione obiettiva e disincantata di una città sui generis – aliena a ogni stucchevole storytelling da cartolina – e in un’ode al cibo che va oltre ogni preconcetto per dare anima e forma a un amore vivido e lucido nell’evidenziare luci e ombre di una cucina che dalle nostre parti si conosce con eccessiva e ingiustificata superficialità. A dirla tutta, l’esempio di Nada potrebbe rappresentare un’opportunità per dar vita a un racconto alternativo della nostra straordinaria cucina, troppo spesso decantata attraverso luoghi comuni e una radicale ortodossia che finisce per mortificarne l’essenza, ma questa non è la sede più opportuna per parlarne: tutta la nostra attenzione, ora, è su una serie che auspichiamo possa trovare maggiori fortune nelle prossime settimane.

In definitiva, perché dovreste guardare Nada?

  • È ideale per chi ricerca una comicità raffinata che non si rifugia mai all’interno di scorciatoie situazioniste, impegnata ma non impegnativa: leggerezza e spessore espressivo si combinano con grande armonia attraverso un’ironia cinica che non sfora mai in ridondanti intellettualismi. La ameranno, in particolare, i nostalgici di Curb Your Enthusiasm.
  • Il rapporto col buon cibo e il buon vino, valorizzati da una regia che sfora talvolta in un’intensità persino erotica, è lo spunto perfetto che allargare gli orizzonti a proposito di una cucina inesplorata dalle nostre parti e rappresentano la chiave per un omaggio inedito alla suggestiva Buenos Aires. Si sconsiglia fortemente a chi sta cercando di perdere peso dopo le abbuffate natalizie, ma fate un po’ voi.
  • Robert De Niro è sempre Robert De Niro, ed è un piacere vederlo andare oltre i film d’autore e le troppe evitabili commedie a cui ha preso parte negli ultimi tempi: è lui il vero aggiunto di una serie che tuttavia avrebbe avuto tutto per risplendere di luce propria. La presenza del grande divo, però, si incastona perfettamente all’interno di un contesto in cui non risulta mai ingombrante.
  • In un periodo storico in cui le comedy si stanno contraddistinguendo per una deprimente staticità, la brillantezza di un prodotto del genere, proveniente da un mondo seriale distante dal nostro, è una boccata d’aria freschissima. Ma tenete a mente una cosa: al di là della discutibilissima scelta di tradurre il titolo in inglese, questa è un’opera che necessita di un’imprescindibile visione in lingua originale. Anche solo per apprezzare gli improbabili virtuosismi espressivi di due protagonisti che comunicano attraverso un idioma chiamato “cocoliche”: una combinazione disarmante di argentino e italiano, mischiati in una bizzarra forma dialettale che delizierà le vostre orecchie.

Altro che “nada”, allora: questa è una serie vera, verissima. E vi farà venire voglia di affrontare un volo intercontinentale per scoprire vizi e virtù di un universo enogastronomico a suo modo unico. Se poi dovesse raccontarvela uno come De Niro, prestato al piccolo schermo nell’ultima produzione in cui avremmo immaginato di vederlo, tanto di guadagnato.

Antonio Casu