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Le 7 vite di Léa: timida, avvolgente, francese

Non è il primo titolo che salta all’occhio spulciando il catalogo di Netflix. E nemmeno il secondo. Le 7 vite di Léa galleggia nel vasto mare di proposte che arricchiscono la piattaforma, tra psichedeliche copertine e prodotti dall’alterna fortuna, lontano dalle correnti d’aria, in un buco all’apparenza claustrofobico del colosso dello streaming. Il più delle volte completamente inosservato. Lo show francese approdato a fine aprile sulla piattaforma è uno di quelli enormemente penalizzati dalla scarsa attenzione mediatica che gli è stata riservata. La risonanza è stata flebile, se non addirittura inesistente. Concausa del debole impatto della serie francese è stata certamente una concorrenza che nel mese di aprile è stata davvero spietata: accanto al debutto di Anatomia di uno scandalo, Netflix accoglieva infatti il ritorno di serie come Russian Doll e Better Call Saul e Ozark, show attesi da milioni di utenti in tutto il mondo. Parallelo al ritorno di Jimmy McGill e alla fine delle disavventure dei Byrdes, l’esordio di Le 7 vite di Léa non poteva che consumarsi nell’anonimato, all’ombra dei grandi successi che stavano invece tornando sulla piattaforma, accolti dal clamore mediatico delle grandi occasioni.

Peccato, perché le sette puntate di Le 7 vite di Léa avrebbero meritato forse qualche attenzione in più.

le 7 vite di Léa

La serie ha per protagonista una giovane ragazza in preda ai crucci esistenziali tipici dell’adolescenza, per cui si fa presto ad affibbiarle l’etichetta di teen drama a tutto tondo. Invece stiamo parlando di una serie già adulta, svuotata degli elementi più acerbi che finiscono per tipizzare i prodotti di questo genere. Le 7 vite di Léa ha una visione più matura. Attinge dal crime e dal genere sci-fi per abbozzare lo script di una trama che resta sempre avvincente e priva di contraddizioni. Léa è un’adolescente che annega le sue aspettative nell’attesa di un futuro senza prospettive. È arguta e appassionata, sebbene un certo disinganno ne appanni le qualità più nascoste. In un pomeriggio d’estate, mentre prova a smaltire i pensieri più cupi a margine di un rave party, Léa si apparta ai piedi di una scarpata, angustiata dal fascino della fine come soluzione di tutti i malesseri. È qui che si imbatte per caso in un mucchio di ossa con cui entra misteriosamente in connessione. Attraverso il test del DNA, si scopre subito che i resti umani appartenevano a Ismael, un giovane scomparso trent’anni prima e mai più ritrovato.

Il ritrovamento di Léa riaccende dunque i riflettori su un caso mai definitivamente archiviato. Come era morto Ismael? Un tragico incidente? Un suicidio? Un omicidio? Le domande iniziano a stuzzicare anche la curiosità della ragazza, che per qualche oscura ragione si sente connessa con il destino di Ismael. Inizia così il lungo viaggio di Léa, che è un viaggio nel tempo e nei ricordi dei suoi genitori. La protagonista si sveglia ogni mattina nel 1991, ogni volta nel corpo di un personaggio diverso. Una volta sono i suoi genitori adolescenti, una volta è lo stesso Ismael, una volta il ragazzo più popolare della scuola e così via. Tutti personaggi legati tra loro da un tragico destino (e da un terribile segreto). Il viaggio nel tempo è per Léa l’occasione per fare chiarezza sul mistero della scomparsa di Ismael. Ma anche un espediente non richiesto per intrufolarsi nelle vite dei suoi genitori e provare a mettere ordine nella propria.

le 7 vite di Léa

Il filo invisibile che lega la protagonista a un ragazzo morto trent’anni prima è inspiegabilmente saldo.

Léa fugge dalla propria vita per tentare di salvare quella di Ismael. Sono destini che si incontrano per caso e si intrecciano in maniera indissolubile, quelli dei personaggi di questa serie. Vite spezzate quando ancora nel fiore, esistenze sospese in attesa di risarcimento. Senso di colpa, vergogna, rabbia incamerata, istinti nichilistici sono le sensazioni che più accomunano i protagonisti di questa vicenda che sa essere gioiosa e tetra, colorata e nostalgica. È una storia di speranza, malgrado il senso di angoscia che la pervade. Ciò che Léa deve mettere in salvo non è infatti solo la vita di Ismael, ma sono i sogni e le speranze di quella generazione che negli anni Novanta iniziava a disegnarsi un futuro. È la felicità dei suoi genitori, bruscamente troncata da una morte inattesa e da una sterminata schiera di bugie che ci si è raccontati per poterla superare e guardare avanti.

Le 7 vite di Léa sono le sette vite rimaste intrappolate in un passato doloroso, compresa la sua.

È una serie timida, che non reclama attenzioni ma le conquista poco alla volta, con pazienza e gradualità. Sembra quasi emarginata, messa all’angolo, dimenticata sugli scaffali di un catalogo che diventa ogni giorno più vasto e variegato. È silenziosa, taciturna, proprio come i personaggi che la popolano, tutti in qualche modo schivi, introversi, esitanti. Però è una bella serie: lineare, coerente, appetibile, mai scontata, nemmeno nel finale. Creata da Charlotte Sanson e ispirata al libro 7 giorni 7 vite di Natael Trapp, Le 7 vite di Léa è uno show francese. In questo articolo, vi abbiamo parlato dell’interessante e spiazzante evoluzione che la serialità francese sta attraversando negli ultimi anni. E questa serie, pur discostandosi dal genere comedy in cui i francesi sembrano trovarsi più a loro agio, non fa che confermare il trend positivo delle produzioni d’oltralpe.

Non è quella che si definirebbe una serie confortevole. Non ti mette a tuo agio, non ti dà punti di riferimento morali, non facilita il giudizio. È anzi scoraggiante in alcuni frangenti. Disincantata, cinica, pessimista. Ci lascia guardare da lontano come alcune vite possano andare incontro a una lenta macerazione, svuotate dei loro colori più accesi. Ci parla dell’inconsistenza dei giudizi affrettati, del nostro modo di essere ipocriti e bugiardi, ma la visione cupa e pessimistica della vita è solo uno stimolo che serve a riattivare i canali della felicità, le connessioni buone e le energie positive. Le 7 vite di Léa è una serie avvolgente, un po’ come quelle architetture barocche che creano l’illusione di uno spazio più ampio del normale. Léa si perde in un tempo dilatato, aggrovigliato, a volte persino ridondante. Ma quella stretta nella quale resta intrappolata (e dalla quale finisce per essere soggiogata) è un abbraccio intenso dal quale ci si stacca con riluttanza. Non sappiamo ancora con certezza se la serie avrà un seguito oppure no, ma intanto perdersela sarebbe un vero peccato.

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