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Il lato oscuro della vita di Harrison Ford

Qualche giorno fa Harrison Ford ha ricevuto a Cannes la Palma d’Oro alla carriera. Tra lacrime di commozione e l’ansia per la proiezione dell’ultimo Indiana Jones che chiuderà la saga, l’attore ha ammesso: “Dicono che quando stai per morire, ti passa la vita di fronte agli occhi e io l’ho appena vista. Gran parte della mia vita, ma non tutta“. Ecco, in questo articolo vogliamo parlarvi dell’altra parte, del lato non battuto dai riflettori del successo: il lato oscuro della vita di Harrison Ford.

Il navigatore italiano è sbarcato nel nuovo mondo“. È il 2 dicembre 1942 quando negli uffici di Washington risuona questo annuncio. Cristoforo Colombo non c’entra nulla, è un messaggio in codice: Enrico Fermi a Chicago è appena riuscito ad accendere la prima pila atomica. Nessuno poteva saperlo ancora ma sarebbe stato il primo tassello del domino verso l’era dell’atomica. A poca distanza dalle polverose aule dell’Università in cui Fermi rivoluzionava la storia, stava un bambino, di neanche cinque mesi. Era figlio di un ex attore e di una conduttrice radiofonica, irlandese lui, ebrea aschenazita lei. “Come uomo mi sono sempre sentito irlandese, come attore ebreo“, avrebbe poi ammesso ormai adulto.

Ford al college
Harrison Ford nell’album scolastico (640×360)

Il giovane Harrison cresce. Cresce nella paura della guerra, nel timore dell’atomica, in un’epoca di forti tensioni e lugubri presagi. È davvero in tutto figlio del suo tempo: introverso, timido, rabbuiato. Non ama gli sport competitivi, non sembra in grado di eccellere in nulla. I genitori provano a farlo uscire dal chiuso del suo guscio: l’esperienza come scout è qualcosa che gli rimarrà dentro, che vorrà inserire anche nel background del personaggio di Indiana Jones. Indiana, già: quell’alter ego che in Harrison vive ancor prima della sua creazione, quello spirito insieme irlandese ed ebreo, sprezzante e fatalisticamente ironico che caratterizza la sua personalità.

Ma la vita scorre lenta, incerta, angosciante.

Harry non brilla a scuola. Prova a interessarsi al mondo radiofonico, a imitare sua madre. Ma è un palliativo, uno dei pochi mezzi che lo aiutano a interagire con gli altri, a spiccicare qualche parola senza farsi vedere, nascosto dietro l’anonimato della trasmissione sonora. Diventa la voce principale nella radio della sua scuola: qualche qualità sembra emergere. Il ragazzo ha una bella voce, una discreta parlantina e un’incredibile intonazione. Ma non c’è nessuno che lo ascolti davvero. Le sue sono parole lasciate al vento, perse nell’etere di un mondo piccolo-borghese che sembra volerlo risucchiare per sempre.

Harrison vive questa oppressione, la ristrettezza materiale e culturale di una realtà senza stimoli. E stimoli il ragazzo non ne trova, se non all’università. Soltanto al college, attratto da una risposta esistenziale ai suoi tormenti, alla distanza che sembra separarlo dagli altri, all’angoscia di un figlio dell’atomica, inizia ad appassionarsi. Il merito è del professor Tyree, capodipartimento di filosofia del Ripon College. Non ci è nuovo questo nome, è quello che Indiana menziona nel suo discorso iniziale agli studenti: “L’archeologia si dedica alla ricerca dei fatti, non della verità. Se vi interessa la verità, l’aula di filosofia del professor Tyree è in fondo al corridoio“. Ancora una volta Indiana Jones come suo alter ego, medium attraverso il quale comunicare e perfino mostrare affetto e riconoscenza.

Tyree
Harrison Ford e il professor Tyree (640×360)

E di affetto per Tyree ne nutre tanto, Harrison. Il professore lo prende sotto la sua ala, ne intravede il grande potenziale celato sotto una timidezza che tarda a diradarsi e a un disagio che solo gli spiriti più sensibili del proprio tempo possono provare. Ma non tutti la pensano così: Harry continua a zoppicare negli studi, i professori non lo vedono con gli occhi di Tyree e il Ripon College, quattro giorni prima del diploma, dice basta: accusato di plagio viene espulso. Harrison prega, supplica, implora di essere riammesso, interviene e intercede lo stesso Tyree, ma non c’è verso. A distanza di quarant’anni sarà il college a scongiurarlo di accettare un diploma onorifico e lui a rifiutare sdegnoso.

Ma allora Harrison Ford non poteva ancora saperlo.

Non poteva sapere cosa sarebbe stato di lui, dei meravigliosi successi che l’attendevano. Per ora era solo uno studente espulso, incapace di dare una direzione alla sua vita. Quattro anni di college, però, qualcosa gli avevano lasciato. La voglia di emergere, di superare i limiti mentali della sua timidezza lo avevano portato al livello successivo, a passare da essere prima voce radiofonica ad approcciare alla recitazione. Dal modello materno a quello paterno. È la svolta: Harrison ama stare sul palco, ama togliersi di dosso le vesti di timido e introverso e diventare qualunque cosa voglia essere. Si sente, per la prima volta nella sua vita, libero.

Harrison Ford
Harrison Ford con i colleghi carpentieri (640×360)

Ma la vita libero non lo lascia, non ancora. Un destino oscuro, che solo il tempo rivelerà essere una benevola Provvidenza, lo perseguita. L’oscura eredità di figlio dell’atomica lo inibisce ancora, anche sul palco: sembra un buon mestierante, nulla di più. Ancora una volta, nessuno mostra di notare il potenziale che c’è in lui. E allora Harrison torna a nascondersi, a celare il suo volto, quello che pensa essere il volto di un mediocre. Ma la recitazione continua a chiamarlo. Sceglie di provare col doppiaggio. “Così vedranno solo la parte migliore di me“, deve aver pensato. Così nasconderò il volto della mediocrità.

Vola a Los Angeles, diventa doppiatore, vive alla giornata. Sente però che questo non gli basta, non può bastargli. Riprova ancora col cinema, riceve parti minori. Un buon mestierante ma niente di speciale, risuona da più parti. Buono forse per tappare qualche buco, per qualche comparsata. E intanto la vita bussa alla sua porta. Sposa Mary, la sua ragazza dai tempi del college, da lei ha due figli. Si amano e si sostengono ma le cose iniziano a farsi difficili. Servono soldi, e soldi non ce ne sono.

Per il bene della sua famiglia Harry inizia a fare i lavori più svariati imparando da autodidatta.

Diventa carpentiere, si ritrova perfino a fare il cameraman, nascosto dietro la telecamera senza il coraggio e la fortuna di starci davanti. Gira la riprese per il film-concerto di una rock band, un gruppo strano con un leader ancora più strano: i Doors di Jim Morrison. Di lì a poco si sarebbero consacrati come una delle più grandi band della storia. Harrison Ford vedeva compiersi la storia ma lui, in questa storia, era sempre ai margini. Lui, la storia, non riusciva a scriverla.

Harrison Ford
Raro fotogramma con Harrison Ford vicino a Jim Morrison (640×360)

Un giorno riceve una chiamata, l’ennesimo cliente che gli offre un lavoretto. “Ci sarebbero da montare alcuni armadi e realizzare una porta, sei disponibile?“. Harrison è tentato di dire di no, che lui non è disponibile, lui vuole fare altro, essere altro. Deve aver guardato la sua famiglia, l’amore silenzioso e pieno di incondizionato supporto della sua Mary, guarda i suoi due bambini e risponde con un monosillabo sconsolato: “Sì”. Ad aspettarlo alla porta è un faccione distratto e sornione: Harrison completa il lavoro e saluta. Sta per andarsene ma il tale lo ferma. Cosa c’è che non va ora?, pensa forse. Il tizio lo guarda bene, lo squadra come stesse provando a distinguere il dipinto che aveva davanti, se un capolavoro o una crosta senza valore. Alla fine sorride. Harrison Ford non capisce.

È il 1973 quando quel tale, di nome George Lucas, gli offre una parte. L’Universal Pictures gli ha commissionato due film, rifiutandone però alla fine il secondo, Star Wars. Lucas inizia quindi a produrre American Graffiti, il primo passo di una carriera trionfale. Ford riceve un ruolo minore, niente che gli permetta di mettersi in mostra, e così, ancora una volta, viene ricacciato dal destino all’anonimato. Ancora una volta vede la storia compiersi attorno a lui, George Lucas e i colleghi di recitazione spiccare il volo, mentre lui rimane al palo. Sembra la fine. Torna a fare il carpentiere.

Ancora una chiamata, però. È di nuovo George Lucas.

O meglio, è Fred Roos, direttore del casting di Lucas. Ford ha un sussulto che si spegne però lentamente in delusione: il regista, a quanto dice Roos, ha solo bisogno di una bella ristrutturata, ora che può permettersi uno studio più grande. Harrison ancora una volta stacca a forza dalle labbra il suo sì. Iniziano i lavori. C’è fermento, intanto, attorno a lui. Lucas ora che si è guadagnato una “discreta” reputazione si è messo in testa di produrre il film che gli avevano negato.

George Lucas
Harrison Ford e George Lucas (640×360)

Roos ha un piano ben preciso. Sa che Lucas stima molto il giovane Harrison ma sa anche che il suo timore è che il nuovo film possa essere considerato un “American Graffiti nello spazio”. Vuole un recasting totale. Roos, però, non la pensa allo stesso modo. È lui l’uomo della Provvidenza per Ford. L’incontro solo apparentemente casuale tra Lucas e Ford, proprio durante le operazioni di casting porta a un provino involontario in cui nessuno dei due si accorge di quello che sta avvenendo.

Roos si avvicina a George Lucas, non c’è bisogno di dire molto. Harrison, quel ragazzo fintamente cinico, caustico e ironico è senza dubbio Ian Solo. Il regista si avvicina a Ford, lo guarda sornione e attento, come la prima volta: “Sai volare?“, gli fa. Harrison si dipinge un sorrisetto furbo sul volto: “Volare sì, atterrare… Forse!“. Una battuta che riproporrà in Indiana Jones consacrando ancora una volta il personaggio a suo eterna voce parlante, scrigno delle sue memorie.

È l’inizio della seconda parte della sua vita, quella fatta di successi, di fama, di flirt pericolosi e fallimenti amorosi, di luci della ribalta e imprudenti acrobazie da stuntman. Ma queste sono altre storie, facce note del lato illuminato della luna. Quella che vi abbiamo raccontato era invece era la storia meno nota ma altrettanto avvincente, il duro e ostinato cammino di un uomo verso il suo sogno. In poche parole il lato oscuro della vita di Harrison Ford.

Ian Solo: Come finirà?
Luke Skywalker: Come sempre!
Ian Solo: Così male?