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La grande fiaba di Natale con cui I Simpson si presentarono al mondo

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla primissima puntata de I Simpson

Una famiglia in crisi. Un Natale da salvare. Un grande padre, alla ricerca di riscatto. Il Natale, nella sua essenza più pura. Una fiaba rassicurante, leggera e divertente. Una di quelle senza tempo, da raccontare una volta all’anno e rivivere al caldo di un fuoco acceso, magari nelle ore della vigilia. Una fiaba, straordinaria nella sua sintesi: venti minuti, solo venti minuti. In cui il tempo si sospende e si dilata, giocando magicamente con un ritmo che appare compassato all’interno di un arco più che ristretto. Un capolavoro di scrittura, degna di alcuni tra i principali maestri della narrazione televisiva: gli autori de I Simpson.

Ma di quale episodio stiamo parlando? Dove andare a cercare, tra i meandri di una produzione infinita che attraversa la storia delle serie tv da 34 anni, con oltre 700 episodi? Niente di difficile, perché è sufficiente tornare alle origini. Ma che origini: le origini delle origini.

La puntata a cui ci stiamo riferendo, infatti, è la prima in assoluto de I Simpson.

L’episodio pilota, scritto per non essere tale. E qui arriviamo subito a un punto chiave: come è noto ai fan di una tra le migliori serie animate di sempre,Simpsons Roasting on an Open Fire(efficacemente tradotto in Italia col titolo “Un Natale da cani”), era stato ideato per essere l’ottavo episodio della prima stagione, mentre l’episodio che avrebbe dovuto presentare l’iconica famiglia al mondo sarebbe dovuto essere “Solo, senza amore”, poi andato in onda come primo season finale. Niente di meglio: il pilot originario è una degnissima conclusione di stagione, mentre Un Natale da Cani, scritto per essere un “anonimo” ottavo episodio, è il pilot ideale. Una magia natalizia? Forse sì, viste le notevoli difficoltà che avevano fin lì incontrato gli autori per far sì che questa bizzarra famiglia avesse l’occasione della vita.

Andiamo con ordine, con una premessa: Un Natale da cani non è il migliore episodio nella storia de I Simpson, con ogni probabilità manco uno dei migliori dieci. E non è manco la migliore puntata natalizia della sua storia, a dirla tutta: volete mettere con l’undicesima della settima stagione, quella in cui Bart rubò il famigerato videogame e si ritrovò a dover riconquistare il cuore di sua madre? Ammazza che episodio.

Ma allora perché parlarne? Uno: perché siamo a Natale. E al di là dei numerosi picchi qualitativi riscontrabili nella storia natalizia de I Simpson, questo è l’episodio più vero. Realistico, genuino. Qualità non certo imprescindibili per valutare un’opera d’arte, ma maggiormente centrali nella costruzione di una grande narrazione natalizia: una narrazione che ha regole tutte sue, esigenze tutte sue, personaggi tutti suoi. Un microcosmo sempre uguale a se stesso che non stancherà mai e si incastona perfettamente all’interno di questa puntata. Un Natale da cani è infatti semplice, essenziale, mai ingenuo ma allo stesso tempo familiare, confortevole. Costruito nel dettaglio, scritto con sapienza scientifica, eppure sembra essere una di quelle storie che avrebbe potuto vivere tranquillamente un nostro vicino di casa, un nostro cugino. Noi stessi. Ma non solo: Un Natale da cani è straordinario nell’aver funto da pilot senza essere un pilot, presentandoci al meglio i protagonisti nell’arco di pochissimi minuti per poi entrare subito nel vivo della storia.

Scusate se è poco: nell’ottica della valutazione globale di una storia del genere, i tempi sono fondamentali. E venti minuti scarsissimi, sulla carta. Invece no: la fiaba trova immediatamente i suoi presupposti chiave (una famiglia a cui regalare un degno Natale, un sogno spezzato da un signor Scrooge sui generis, un grande ostacolo da affrontare, la determinazione eroica di un padre che si sacrifica per i suoi cari, una situazione all’apparenza irrisolvibile, il lieto fine), rallenta, gioca coi nostri sentimenti, ci immerge con grande spontaneità in mondi, dinamiche e personaggi che fin lì non avevamo mai conosciuto, affonda il colpo e poi si chiude col finale che tutti si aspettavano e di cui tutti hanno bisogno a Natale, riscrivendo allo stesso tempo la conclusione che molte altre sitcom, fino a quel benedetto 17 dicembre del 1989, ci avrebbero regalato.

Non ci sarebbe stato niente di strano, infatti, se l’episodio si fosse concluso con una vittoria sul piano economica de I Simpson, premiati da un destino benevolo attraverso il successo del cane sul quale avevano puntato. Invece no: I Simpson perdono come sempre hanno perso nella vita, dopo aver scommesso all’ultimo momento sul corridore sbagliato. E vincono, attraverso una morale ancora più natalizia: il conto in banca continua a piangere, ma in compenso hanno trovato l’amore di un animale, un nuovo membro della famiglia.

Il membro ideale, Piccolo aiutante di Babbo Natale:

È un perdente, è un patetico, è… è un Simpson!

Volete mettere col vil denaro?

Tutti felici e contenti, insomma. Poi I Simpson cambieranno, diventeranno sempre più sottili, intelligenti, brillanti, divertenti. Homer diventerà più stupido, Lisa non indosserebbe più per alcun motivo quel ridicolo costume che fu costretta a mettersi per la recita scolastica, Flanders si rivelerà meno invidiabile di quanto ci fecero credere, Barney non rivedrà una donna per un po’ di tempo. Passeranno gli anni e loro diventeranno sempre più brillanti, affinando la scrittura dei personaggi e delle situazioni. Ma resteranno comunque fedeli allo spirito evocato in quello straordinario pilot, critico al punto giusto nei confronti di una società americana che andrà sempre più allo sfacelo.

Proprio per questo, Un Natale da Cani, il pilot giusto mandato in onda quasi per sbaglio, rappresenta un unicum nella storia de I Simpson. E il massimo esempio di come si possa rivoluzionare la storia del linguaggio televisivo nell’arco di venti minuti.

Con la più classica delle storie, vissuta dai meno classici dei personaggi. Con tanto cuore e tanta sostanza, permettendoci, oggi come 33 anni fa, di vivere attraverso quella semplice storia l’alba di un vero capolavoro. Una di quelle che tendono a soffrire meno per l’incalzante incedere del tempo, ma finiscono invece per rinnovarsi da sé mentre le nostre vite vanno avanti, le nostre esigenze cambiano e non rimane altro che un punto fermo imprescindibile, da ritrovare con la consapevolezza che sarà sempre là, immobile eppure ancora in movimento: a Springfield, al 742 di Evergreen Terrace. Mentre cerchiamo di capire come portare a casa il Natale senza un soldo in tasca. Con un lavoro terribile, un capo spietato e la capacità di prendere sempre la decisione sbagliata al momento sbagliato. Fino all’arrivo di un cane, uno splendido cane, tanto tenero da sembrare parte della famiglia da sempre. E all’inizio di una straordinaria avventura, in cui tutto è possibile da oltre tre decenni. Come se fosse sempre Natale, ogni giorno.

Antonio Casu