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Era il 2014 quando una delle comedy che hanno contribuito a formarmi come persona e a tarare il mio senso dell’umorismo, chiudeva i battenti. How I Met Your Mother è una serie del 2005, durante la prima stagione avevo 12, forse 13 anni e la guardavo su Italia 1. Aveva un titolo che sembrava richiamare quell’immaginario delle rom-com americane degli anni 90 e una struttura ormai sdoganata da Friends. Non sembrava, insomma, nient’altro che una sit-com perfetta per intrattenere 20 minuti alla volta. Poi, puntata dopo puntata, stagione dopo stagione, mi è parsa crescere e maturare con me. Venivano affrontate tematiche via via più profonde, come l’ineluttabilità del destino, l’incedere del tempo, la morte, sbattuti in faccia anche con espedienti stilistici non certo da manuale per una situation comedy di inizio Duemila (l’episodio della morte del padre di Marshall o Robots versus Wrestlers particolarmente emblematici in tal senso).
Ricordo che il finale di How I Met Your Mother mi lasciò confuso, non fui subito in grado di partorire un giudizio tranchant. Sulle prime prevaleva la sensazione di nostalgia per la fine di qualcosa vissuto così intensamente. Poi, a bocce più ferme, maturai la convinzione che sì, tutto era stato troppo affrettato. Che, ok, il problema non era tanto cosa fosse accaduto, quanto la resa finale. Dopo 9 anni in cui ci era stato raccontato anche il più irrilevante dettaglio del viaggio alla scoperta della Madre, tutto era finito in modo così veloce, così approssimativo, così fugace.
La morte di Tracy, un momento drammatico che pure era stato mezzo suggerito da alcuni episodi precedenti, liquidato a 20 secondi in cui viene mostrata sul letto di ospedale. E quel climax così bruscamente interrotto dal ritorno al tempo presente, il 2030 per Ted e i suoi figli, in cui sostanzialmente questi ultimi gli danno l’approvazione a uscire con Robin. Un cerchio che si chiude, sì, ma a quale prezzo? Era davvero ciò che volevamo a quel punto? Era credibile tutto questo? Non era stato “sprecato” un po’ tutto il percorso dei personaggi, non solo di Ted e Robin, ma anche banalmente di Barney?
E, a margine di questi dubbi, una nona e ultima stagione che sembrava confondere ancor di più le acque. Un’intera stagione a raccontare minuziosamente ogni dettaglio del matrimonio di Barney e Robin, con all’interno episodi dimenticabilissimi ma anche capolavori, come la puntata in cui Ted e Robin si lasciano dietro il loro passato, apparentemente una volta per tutte, per poi liquidare in fretta e furia le questioni nel modo di cui sopra. Come se fosse una scelta voluta e ponderata da parte degli autori. Una scelta autolesionista, avrei pensato al tempo.
Sono tutte domande che mi sono portato con me per tanto tempo e che ancora oggi fanno discutere i fan.
Sono diventato papà da circa un anno e, ovviamente, la mia vita è cambiata. Non serve menzionare la lista di tutte le cose che sono cambiate, molte potrete immaginarle, di altre non ne ho contezza ancora nemmeno io. Ai fini di questo discorso ne basta citare una soltanto: è cambiato il rapporto con il mio gruppo di amici, quelli più stretti. Non sono certo mutati la stima e l’affetto, gli voglio bene come e più di prima e credo che per loro sia lo stesso. Non è cambiato il modo in cui scherziamo, il modo in cui ci supportiamo a vicenda o il tipo di confidenze che sono proprie di un’amicizia profonda. Però è cambiata una cosa non meno rilevante: la qualità del tempo che passiamo insieme.
Sono diminuite le uscite serali, ma anche quelle pomeridiane. È diventato più complesso organizzare una cena, scambiarsi i regali di Natale. Ho dovuto dare buca anche ai fratelli di HoS, quando ci riuniamo da qualche parte in Italia, rimandando l’incontro con loro, dal vivo, a chissà tra quanto tempo. Anche quando si riesce a organizzare anche solo una pizza, il tempo è diventato un fattore da tenere in considerazione. Se prima non si sapeva a che ora saremmo rientrati a casa, ora anche quel più raro appuntamento viene cronometrato, diventa fugace. E questa credo sia una parola chiave che tornerà più avanti nel discorso.
A scanso di equivoci devo anche sottolineare che queste non sono righe di rimpianto. Sono stati mesi bellissimi. Tutto ciò di cui sto parlando è semplicemente un dato di fatto per una persona di 30 anni, di fronte a uno di quegli snodi della vita. Per me è stato diventare genitore, per qualcun altro potrà essere prendere casa da solo, per qualcun altro ancora sarà andare a convivere o, ancora, un trasferimento di lavoro all’estero. È inevitabile ridefinire la tua vita quando fai delle scelte personali, qualsiasi tipo di scelta personale. Ed è quasi fisiologico che queste scelte ti portino a trascorrere meno tempo con il tuo gruppo di amici. Quando ripenso a questa cosa, ultimamente, torno indietro di 10 anni – 10 vite cambiate fa – a quando ero ancora uno studente universitario e guardavo il finale di How I Met Your Mother.
E mi sento per un attimo Ted, lì, solo, seduto al pub, in un tempo sospeso tra presente, passato e futuro.
Siamo portati a pensare che How I Met Your Mother abbia un protagonista ben definito e, d’altra parte, se il narratore è uno dei personaggi principali, l’associazione è immediata. Però Ted del futuro, anche se siamo influenzati dal suo pov, racconta solo cose che in qualche modo riguardano soltanto la sua cerchia di amici. Anche quando si tratta di episodi specifici, che magari hanno a che fare con qualche sua relazione, è sempre Ted 2030 che racconta di come Ted del presente lo raccontasse a Barney, Lily, Marshall e Robin. Fateci caso: di alcune donne frequentate da Ted, non sappiamo nemmeno com’è finita, conosciamo solo la versione raccontata lì, ai tavoli del McLaren’s Pub. Tutto è in funzione del suo gruppo di amici che, è ormai chiaro, rappresenta il vero protagonista di How I Met Your Mother.
Si comincia a intravedere il “disegno”? Se tutto è in funzione non di un protagonista, ma di cinque protagonisti, tutto quello che non riguarda tutti e cinque non ha senso mostrarlo. È un’altra cosa, non è How I Met Your Mother. Ted, Barney, Marshall, Lily e Robin sono come noi con i nostri gruppi di amici dopo i trenta e, ancor di più, dopo i quaranta. Non smettiamo di volergli bene, ma il tempo che passiamo insieme si riduce, sempre più. E quando ci conquistiamo quel tempo, comunque abbiamo la sensazione che sia più fugace rispetto ai nostri vent’anni. A meno che non ci sia di mezzo un evento collettivo, qualcosa in cui, in un modo o nell’altro, siamo tutti coinvolti e autorizzati a mettere da parte la nostra routine. Qualcosa come un matrimonio, ad esempio.
Il matrimonio è un buon momento per ritornare ventenni ca**oni che mettono in standby la loro vita da trentenni e oltre. Se sei convolto emotivamente e concretamente nei preparativi, è anche ricco di aneddoti, di retroscena o – perché no? – di colpi di scena. E infatti il matrimonio di Barney e Robin rappresenta l’ultimo grande evento della serie, nonché l’ultimo evento collettivo di quel gruppo di amici da vivere sospesi nel tempo. Per questo How I Met Your Mother decide di dedicargli tutta l’ultima stagione, meno i venti minuti finali, indugiando su tanti momenti anche apparentemente insignificanti. Finito quello, si ritorna alla routine, si ritorna a quegli incontri fugaci che scandiscono gli intervalli del resto della nostra vita.
How I Met Your Mother è un viaggio alla ricerca dell’amore autentico in cui la meta diventa essa stessa il viaggio. E il mezzo di trasporto è appunto questo gruppo di amici formato da Ted, Barney, Marshall, Lily e Robin.
Come dicevo, non sono righe di rimpianto, bensì di consapevolezza. La stessa consapevolezza che, crescendo, mi ha fatto rivedere sotto una luce nuova una serie a cui sono molto legato. E, proprio come ci insegnano i cinque protagonisti di How I Met Your Mother, anche se le occasioni di vedersi diminuiscono, l’importante è, quando ci si rivede, riuscire a lasciare fuori tutto il resto. Hai visto mai che ti venga voglia di andare a leccare la Campana della Libertà.









