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5 grandi villain in film che, purtroppo, non sono stati all’altezza

3. Skynet, Terminator Genisys (Alan Taylor, 2015)

Ora ci allontaniamo da casa Marvel e ci addentriamo all’interno di un franchise ancora più storico. Nel 1984 esce nei cinema il primo capitolo di Terminator (James Cameron) con Arnold Schwarzenegger a capitanare il cast. Da allora l’universo soggiogato da Skynet si è arricchito sempre più. Con ben quattro sequel (Terminator 2 – Il giorno del giudizioTerminator 3 – Le macchine ribelliTerminator Salvation e Terminator – Destino oscuro, il sequel diretto di Terminator 2) e il reboot protagonista di questo punto, Terminator Genisys, la saga ha avuto anche fortuna in altri media. Dai fumetti e serie animate, fino ai videogiochi e addirittura romanzi. Questa saga ha fatto diventare Skynet uno dei più famosi, terribili e imprevedibili villain del cinema.

Il reboot tenta di ridare vita al franchise insieme a Emilia Clark (ai tempi sulla cresta dell’onda grazie a Game of Thrones) e zio Arnold che torna per l’ennesima volta a interpretare il cyborg più famoso della cultura pop. Partiamo di nuovo dall’anno 2029, da cui Skynet invia un cyborg T-800 nel 1984. La sua missione è uccidere Sarah Connor. la donna destinata a dare alla luce il futuro capo della resistenza del genere umano contro il dominio delle macchine. Kyle Reese torna anch’esso indietro nel tempo per proteggere Sarah, che, però, è già accompagnata da un T-800 più vecchio, il Guardiano. Tra diversi viaggi temporali che cambiano il corso degli eventi, Skynet, in questa nuova realtà, nasce come “Genesys”, un rivoluzionario programma globale creato da Danny Dyson.

Skynet perde la forma eterea e, paradossalmente, la sua credibilità.

In questo Terminator, a Skynet viene data forma fisica e il suo volto è quello di Matt Smith. In qualità di evoluzione definitiva dell’intelligenza artificiale, il malvagio software, tuttavia, ha una presenza scenica molto irrilevante. Dal momento in cui la malvagità di Skynet stava nella sua invisibile, impercettibile e onnipresente esistenza, fornirle corporeità le ha fatto perdere l’aura di terrore e imprevedibilità. Esistere fisicamente significa fornire qualcosa da combattere. Una nemesi in carne e ossa (o, in questo caso, nanoparticelle metalliche) è molto più facile da sconfiggere di una presenza onnipresente e onnisciente.

4. Lyutsifer Safin, No Time to Die (Cary Fukunaga, 2021)

Quinto e ultimo capitolo della saga di 007 con protagonista Daniel Craig, No Time to Die ha voluto far uscite la spia più famosa del cinema con il botto (letteralmente). Come finale definitivo dell’era Craig e sequel di Spectre (con un insuperabile Christoph Waltz nel ruolo della nemesi Franz Oberhauser), No Time to Die ha una bella gatta da pelare in merito a storia e villain da portare in sala. Si è scelto di affidare il ruolo di Lyutsifer Safin a Rami Malek, fresco di Oscar per Bohemian Rhapsody. Il venticinquesimo film su James Bond presenta un villain decisamente diverso dai precedenti.

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Il bioterrorista Safin era in cerca di vendetta per la morte dei genitori per ordini dell’organizzazione Spectre, ma l’intromissione di Bond ha eliminato il suo principale bersaglio, Obershauser/Biofeld. Visto che la sua vendetta non ha potuto compiersi, il criminale decide di diffondere Heracles: una bio-arma composta da nano-bot che si diffondono come un virus al tatto e sono codificati su specifici filamenti di DNA, in modo che siano mortali solo se programmati secondo il genoma della persona che si vuole eliminare. Come lui, anche Bond è un uomo forgiato dalla perdita e, come loro, la nuova società sarà composti da superstiti al dolore. Il suo volto è testimone di quel dolore e la sua maschera metafora della sua arma. Nessuna sa cosa può colpire e i danni che possono essere provocati.

Tra i villain nel cinema di 007, Safin sarebbe potuto essere uno dei più originali.

La saga di Craig è sempre stata al passo con le criticità di portata mondiale. I suoi villain si distinguevano perché davano un volto a problematiche relazionabili e comprensibili a tutti, nonostante la dimensione macro (si veda ad esempio Quantum of Solace e il ruolo dell’acqua come nuovo oro blu). L’utilizzo di bio-armi microscopiche e così sofisticate da colpire a livello genetico ha un potenziale inquietante e reale. Safin avrebbe potuto essere uno specchio malvagio di un futuro non poi così lontano e irrealizzabile. Tuttavia, le sue motivazioni e l’intero intreccio narrativo rendono No Time to Die il film meno indimenticabile del franchise e Safin un’occasione sprecata.

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