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Esiste un certo tipo di cinema che sfugge ai parametri oggettivi e alle regole di coerenza narrativa e che, proprio per questo motivo, riesce a dare vita ad alcuni dei migliori film di sempre. Sono film che, se giudicati con il righello della razionalità, risulteranno sempre fuori asse e dunque imperfetti. In un’epoca in cui tutto deve essere spiegato, decodificato, ridotto a frame e analisi, questi film rappresentano un atto di fede. Un invito a tornare spettatori vulnerabili e a saltare nel vuoto. Se lasciata la sala siamo ancora confusi e pieni di domande, con una stretta al petto, allora probabilmente questi film hanno raggiunto il loro scopo.
Ecco 10 tra i migliori film di sempre a parlare direttamente al nostro cuore, più che alla fredde logica della nostra mente.
1) Beau is Afraid ( 2023)

Beau ha paura è un’opera tanto titanica quanto divisiva, un viaggio odisseico e allucinato che segue Beau Wassermann (un Joaquin Phoenix vulnerabilissimo) nel tentativo di raggiungere sua madre. Ma quel che sembra un banale pretesto narrativo si svela presto come una discesa paranoica e onirica nell’inconscio. E se in Hereditary Ari Aster lavorava sulle crepe della famiglia e in Midsommar sulle dinamiche di coppia e lutto, qui si muove nel territorio più oscuro e viscerale. La colpa, la paura del giudizio materno, l’angoscia dell’esistenza stessa.
Lo stile di Ari Aster è sempre stato radicale, ma in Beau ha paura si fa barocco, labirintico, libero da qualsiasi necessità di piacere o rassicurare lo spettatore.
Il film è lungo, sfiancante, volutamente frustrante. Ma è anche geniale nella sua coerenza emotiva: ogni scena è costruita come un attacco d’ansia filmato dall’interno, ogni passaggio è permeato da quel senso di impotenza che solo chi ha conosciuto la paura patologica può comprendere.
L’inquietudine non arriva dall’esterno, ma da dentro. Dalle allucinazioni, dalle strade ostili, dagli specchi deformanti della memoria. Aster usa la messa in scena come uno psicanalista che tenti di far emergere traumi e ricordi dal subconscio. In Beau ha paura, la realtà non ha più confini. Ci sono momenti in cui il film diventa animazione teatrale, altri in cui si trasforma in sitcom grottesca, altri ancora in thriller. Questo continuo slittamento di registro non è un esercizio di stile, ma un riflesso fedele della mente frantumata del protagonista.
Aster vuole farci vivere il trauma. E per farlo prende in prestito linguaggi molteplici: dal teatro epico alla psicanalisi junghiana, dai videogiochi esistenzialisti alle favole infantili mutate in incubi. Il risultato è un cinema-collasso, un’esplosione di senso e di nonsenso dove tutto è simbolico e nulla è spiegato. Tra i migliori film di sempre del regista.
2) Tetsuo: The Iron Man (1989)

Nel 1989, mentre Hollywood celebrava la plastica eroica degli action movie e i circuiti lisergici di Tron ancora echeggiavano nei neon della cultura pop, un giovane regista giapponese, Shinya Tsukamoto, piazzava una bomba nel cuore del cinema underground: Tetsuo: The Iron Man. Girato da Shinya Tsukamoto nel 1989, con un budget minuscolo e una libertà creativa totale, Tetsuo è il punto di rottura tra l’uomo e la macchina, tra il corpo e l’ambiente urbano che lo ingloba. Il protagonista è un salaryman giapponese qualsiasi, senza nome né passato, che comincia lentamente a trasformarsi in una creatura ibrida: carne e ferro, muscoli e bulloni.
È uno dei migliori film che parla dell’alienazione urbana, del sesso fuso con la tecnologia, della paura di perdere il controllo sul proprio corpo.
Ma lo fa in modo viscerale, quasi senza parole. Ti mette davanti delle immagini che non puoi scrollarti di dosso, ma sotto tutta questa violenza, Tetsuo è anche uno sfogo. Un grido contro il controllo, contro la città, contro la trasformazione forzata dell’uomo in macchina. Molto prima che il transumanesimo diventasse un tema accademico o uno spunto da blockbuster, Tetsuo metteva in scena il corpo come campo di battaglia. L’idea che il confine tra carne e metallo sia poroso, inevitabile. Il protagonista non è più un uomo, ma neanche una macchina.
Questa trasformazione non ha nulla di liberatorio. Il finale – due corpi fusi che si promettono di “trasformare il mondo in un deserto di metallo” – è tanto assurdo quanto profetico. È l’eco di un’umanità che ha perso il controllo delle sue creazioni. Il film migliore di Tsukamoto ha ispirato registi come Darren Aronofsky (Pi è in debito diretto), ha influenzato anime, videoclip, perfino videogiochi. E ha dato origine a un seguito (Tetsuo II: Body Hammer) e a un terzo capitolo decenni dopo, ma nessuno con la potenza grezza dell’originale.






