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La storia cinematografica di Barbie, prima di Barbie

Barbie è una delle pellicole più attese dell’anno. Non potrebbe essere altrimenti e non solo per il cast da Oscar, la regia di Greta Gerwig e la scrittura di Noah Baumbach. Barbie ha rivoluzionato la nostra infanzia e siamo cresciuti non solo giocando con lei, ma anche vedendone i vari film animati. Ma prima di addentrarci nella sua storia cinematografica, facciamo un salto nel 1959. Ruth Handler, che lavorava nell’azienda del marito, ovvero la Mattel, osservava il modo in cui giocavano i suoi due figli – che si chiamavano, appunto, Barbie e Ken. Se quest’ultimo aveva tanti giochi a disposizione, quelli da bambina erano limitati ai mestieri di casa o ai bambolotti neonati. Si accorse, però, che sua figlia ritagliava delle donne dai giornali e fingeva di essere loro. Intanto, in Germania era in commercio Lily, una bambola inizialmente venduta come oggetto per adulti, ma che attrasse le bambine, che non ne vedevano l’aspetto erotico, ma solo quello di una donna adulta non madre. Da questi due eventi nacque Barbie: la prima era sia mora che bionda, in costume, con gli accessori venduti a parte, dal corpo umanamente impossibile per permettere a tutti gli abiti di aderirle perfettamente.

Però, nessuno voleva comprare alla propria figlia una bambola ritenuta volgare. Allora, Mattel creò uno spot che andasse in onda su Disney, canale affidabile e guardato dai bambini, e in cui Barbie era una sposa, così da non essere considerata più una sgualdrina ma il giusto insegnamento per le più piccole. Furono due mosse vincenti e, da quel momento, Barbie fu un successone: ne fecero di moltissime versioni, sia in termini di mestieri che di etnia, rinnovandola ogni anno per adattarsi all’estetica del tempo.

Ecco che, nel 1987, arriva il primo film: Barbie Rockstar.

Inizialmente era stato pensato come una serie animata, in modo da competere con il cartone delle Jem e le Holograms, la rivale di Barbie in quegli anni. Però, fu un flop colossale e, così, i due episodi vennero uniti in un film. Il fallimento si deve principalmente alla mancanza di storia o personalità in Barbie. Lei, che non fa nulla durante il film se non cantare e ballare, semplicemente è la più grande rockstar nel mondo, intenta a fare un concerto di beneficenza dallo spazio che sia più grande del Live AID. Poi, torna sulla Terra ma negli anni ’50 (in stile Ritorno al Futuro) e deve trovare un modo per tornare nel 1980. Lo trova. Senza sfide, ostacoli o problemi. Comprensibile perché sia stato un flop, giusto?

Barbie

Arrivarono gli anni ’90 e Barbie era ormai il cliché della bionda senza cervello. E le bambine credevano di dover essere come lei: una donna dal corpo impossibile, curate, con tanti vestiti e zero cultura. Fu dopo la canzone degli Aqua, che facendo la parodia a Barbie mostrarono il labilissimo confine tra giocattolo e persona vera, che nel 1997 il corpo della bambola venne reso meno sessualizzato ed esagerato. Siamo anche nel periodo di Toy Story e i produttori chiesero i diritti per far apparire Barbie in questo universo, ma Mattel glieli negò, dicendo che non volevano dare una personalità troppo precisa a Barbie per non limitare la fantasia delle bambine. I milioni incassati da Toy Story, però, le fecero cambiare idea. Nel frattempo, iniziò a maturare l’idea di un film con protagonista Barbie, che rompesse con gli stereotipi del tempo e che vendesse.

Così, nel 2001 nacque Barbie e lo schiaccianoci, tratto da Čajkovskij. Certo, l’animazione in rotoscopio lasciava a desiderare, con i personaggi che si muovono in modo strano e le espressioni spesso piatte. Ma è il perfetto film natalizio, con una colonna sonora magnifica, le danze gestite dal coreografo Peter Martens ed eseguite da ballerini esperti. Erano così accurate che le bambine che studiavano danza potevano imparare i passi direttamente dalla pellicola.

Dato il successo, Mattel decise di realizzare una pellicola all’anno con protagonista la bambola più famosa del mondo.

La prima epoca dei film di Barbie inizia nel 2001 e finisce nel 2009, da Lo schiaccianoci a Le tre moschettiere. Divisa ulteriormente in due parti – la prima è l’epoca d’oro dal 2001 al 2006 (termina con La magia di Pegaso e comprende, tra gli altri, Il lago dei cigni e Fairytopia) e la seconda inizia con Il diario di Barbie e termina, appunto, nel 2009 – i film si scindono in due filoni: quelli tratti dal teatro di Čajkovskij o romantico; quelli in pieno stile fiabe della Disney, incentrate sulle principesse che ancora non avevano ricevuto il loro Classico. Barbie Raperonzolo fu il primo. Per Disney era un problema realizzare questa storia principalmente per due motivi: aveva paura che fosse noiosa e invendibile, dato che la vicenda era ambientata interamente in una stanza; concentrarsi sul principe che salva la principessa non funzionava e l’avevano imparato con la Bella Addormentata. Barbie, allora, ebbe un’idea: far scappare Raperonzolo dalla torre attraverso la magia, dovendo nascondere però queste fughe a Madre Gothel. Alla fine, la pellicola è dolce, tenera, piena di avventure avvincenti, personaggi meravigliosi e temi delicati che la portarono al successo e ce la fanno ancora ricordare con affetto.

Ed è proprio sulla sua scia che venne realizzato il più importante film di questo filone: La principessa e la povera. Tratto dal romanzo di Mark Twaine, racconta una fiaba in stile Disney, con tanto di canzoni, su una povera e una principessa identiche che si scambiano la vita. Aveva un antagonista interessantissimo e due protagoniste particolarmente furbe, che uscivano da situazioni difficili grazie al loro ingegno, dando così un ottimo esempio alle bambine.

Ma in questo periodo la bambola più venduta non era Barbie. Erano le Bratz.

Loro erano tutto ciò che Barbie non era: esagerate, truccatissime, contemporanee, dal carattere peperino, che andavano a scuola, con uno stile più oscuro, tutte originali e di diverse etnie. A crearle, però, fu un ex-dipendente della Mattel, che pare avesse rubato un progetto scartato di cui però Barbie aveva ancora la proprietà intellettuale. L’azienda gli fece causa, vinse e le Bratz furono ritirate dal mercato. Ma non se ne poteva ignorare il successo. Così, uscì il diario di Barbie. Peccato che fu un flop a causa di un’animazione pessima e di una trama debole e piena di stereotipi.

Con Il diario di Barbie si dà il via alla seconda parte, che sostanzialmente ha poche differenze con la prima. È composta da tantissime fiabe, come Le 12 principesse danzanti, Il castello di diamanti (col quale provarono a replicare il successo de La principessa e la povera attraverso l’utilizzo di due protagoniste) e Pollicina, e da sequel di Fairytopia, che piacque talmente tanto da essere trasformata in una saga di 6 film. Questo periodo termina per un preciso motivo. Era in corso la realizzazione di Barbie e la Bella Addormentata, la cui protagonista si chiamava Aurora. Disney, però, proprio mentre Barbie stava lavorando a questo film, depositò con ben 50 anni di ritardo il marchio “Principessa Aurora”, rendendolo inutilizzabile. Allora, virarono su Barbie e le tre moschettiere, che comunque era già in produzione.

Barbie

Per non avere più problemi con Disney e dato che le Barbie Principesse non avevano più così tanto successo, ci fu un cambio di rotta. Da adesso uscirono dai due ai tre film all’anno, tutti ambientati ai giorni nostri. Ad esempio, Barbie e l’avventura nell’oceano o Barbie e il segreto delle fate; La principessa e la popstar (remake contemporaneo de La principessa e la povera) o Barbie e l’accademia per principesse (dove la scuola si chiama, guarda un po’, Hogwarts); ancora, Barbie principessa rock o Barbie Superprincipessa (dove riuscirono a deludere i fan di Barbie e dei supereroi in un colpo solo, a causa della stereotipizzazione della protagonista). Sono alcuni dei film che fanno parte della terza epoca di Barbie, quella che va dal 2010 al 2016, iniziata con Principessa della Moda: Barbie ha appena finito di girare un film ma viene licenziata e, allora, va a vivere da sua zia stilista a Parigi. È un’era dalla rappresentazione più varia, con tante etnie e il ritorno di temi che funzionano sempre, ma anche con molti tentativi falliti.

Una fase che finisce con l’uscita e il successo incredibile di Frozen.

Barbie provò nuove formule ma, dopo Nel mondo dei videogame e La magia del delfino del 2017, decise di fermarsi. Doveva capire che ruolo avesse ora nella società. Barbie era nata come lo specchio della realtà, influenzando al tempo stesso la figura della donna, fino a trasformarla. Tanto che, in epoca contemporanea, era diventata la costrizione a essere a tutti i costi come lei: belle, buone, brave, efficienti, sempre un esempio ma un’utopia irraggiungibile. Ecco che arrivò Barbie Fashionista; una bambola con tantissime varianti di fisicità, colore di pelle, tratti somatici, capelli e pure con protesi o in sedia a rotelle. Perché ora Barbie rappresentava il poter essere quello che vogliamo, comunque siamo. E inizia così l’era Netflix. Abbiamo ad esempio Barbie avventura da principessa, un musical ispirato sempre alla principessa e la povera; poi Il compleanno perduto, concentrato su Chelsea; Grande città grandi sogni, dove Barbie incontra un’altra Barbie con la pelle nera e dimostrano che nessuna delle due è la vera Barbie.

Perché adesso Barbie si impegna nel dimostrare che donna vuol dire moltissime cose e non esiste una maniera corretta per esserlo. In fondo, è questa la forza e il segreto di Barbie: il suo sapersi adattare ai tempi, il suo porsi domande e riuscire a cambiare, a far rispecchiare chiunque in lei, a farci sognare di poter essere qualsiasi cosa. Potremmo farlo ancora, grazie al live-action che, finalmente, sta per arrivare. E noi non vediamo già l’ora.