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#VenerdìVintage – Everwood: il successo di una soap series

Casa Mediaset, settore palinsesti, giugno 2005

“Allarme, allarme c’abbiamo un problema a Canale 5”

“Che succede, collega?”

“Gravissimo, un buco nella fascia pomeridiana, il nuovo programma estivo è slittato e abbiamo un mese di niente in programma!”

“Va beh, dai, è la fascia estiva, chissene, fatti mandare qualcosa dall’America, che sai che c’abbiamo rapporti privilegiati con quelli, il tempo di riempire il buco, speriamo che il mese regga e poi si parte con la programmazione nostra normale”

“Ma senza un lancio, senza una pubblicità, senza niente, una stagione sola senza continuo e con frequenza giornaliera?”

“E’ pomeriggio, è estate, la gente esce, se c’è un calo di spettatori il grande capo capirà, basta mettere la pezza, non deve fare ascolti, deve reggere la sconfitta e basta”

“Va beh”

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Quindici giorni dopo, studio della WB Television, squilla il telefono

“Hello?”

“Buon pomeriggio, WB television giusto? Qui è il settore palinsesti Mediaset, quelli a cui avete venduto la prima stagione di quella serie, Everwood, ricordate?”

“Oh, sì certo, problemi?”

“Sì, uno, gigante: la gente è letteralmente impazzita, mandateci tutto quello che avete già di girato, abbiamo annullato il palinsesto pomeridiano per mettere Everwood per tutta l’estate ma fate prestissimo che rischiamo di non farcela neanche con il doppiaggio, grazie”

 Questa la nascita italiana di Everwood, la serie che ha convertito Canale 5 alla serialità americana non di prima serata e che ha mostrato che in Italia, con i criteri giusti, puoi sfondare anche sulle reti più importanti. Detta in altri termini: se avete avuto Dr House sulla rete principale Mediaset, le famiglie Brown ed Abbott ci hanno messo lo zampino. Senza volerlo, forse, a Mediaset era arrivata proprio quella quadratura del cerchio a cui nessuno pensava: tempi e protagonisti da series americana del genere teen drama, ma caratteristiche da soap opera, ottime per agganciare la fascia più refrattaria alle series, il target degli “anta”. In pratica, una “soap series”

TRAMA E MOTIVI UN SUCCESSO – Andy Brown non è un semplice neurochirurgo: è il Michelangelo delle operazioni al cervello, quello che ce la fa sempre, col dono innato della mano perfetta. Amato e idolatrato dai pazienti e dalla stampa di New York, si dimentica però di avere una famiglia, con una moglie (che lui ama moltissimo) e due figli che non lo vedono mai. Un giorno, però, cambia tutto: Andy e la moglie, Julia, dovrebbero andare insieme ad un concerto, ma Andy fa tardi e la manda da sola. Nel tragitto, però, Julia muore in un incidente d’auto e Andy decide di onorarla stravolgendo la sua vita: basta lavoro, soldi e mondanità,  il dottore lascia tutto per andare, con figli più o meno costretti al seguito, in un piccolo paesino del Colorado, Everwood, per fare il medico generico volontario. Ciò che Andy Brown non sa, però, è che ad Everwood qualcuno lo sta aspettando: rimettere insieme la sua famiglia distrutta non sarà la sfida più difficile che lo attende.

Everwood è stato in assoluto in Italia il prodotto americano dalle recensioni più positive nei primi anni 2000: merito di una squadra affiatatissima (tra alcuni personaggi nacquero anche storie d’amore) di un plot che funzionava ma soprattutto di un sentimentalismo che non si è mai nascosto. Con Everwood piangevi (e ridevi), appassionandoti di gusto, e non ne avevi vergogna, perché i loro problemi erano anche i nostri, ma affrontati con un lirismo e un  pathos di delicatezza rara. E il grande merito era di testi scritti benissimo e non convenzionali. In Everwood i personaggi non parlavano, ma si sfogavano e si confidavano a vicenda: questo dava il là a veri e propri monologhi di una bellezza semplicemente strabordante, a costo di essere pronti a gestire poi le lacrime e le risate. Il tutto, tra l’altro, contornato da musiche semplicemente perfette (oltre alla plurinominata per diversi premi sigla di Blake Neely).

PER ESEMPIO – Alla fine della terza stagione un monumentale Tom Amandes, nei panni del Dr. Abbott, deve affrontare un grande dramma: la moglie sta per sottoporsi ad una delicatissima operazione, o vita sana e completa o morte, nessun’altra possibilità. In ospedale si estranea da tutti e fa una cosa che non gli era stata ancora vista fare: va a pregare in uno degli asettici bagni  della struttura. Queste le sue parole :” Perdonami Signore se ti disturbo. So benissimo che la tua conoscenza è illimitata e che trascende i problemi delle singole anime, ma cerca di metterti nei miei panni.
Quando ti prego sono giusto, non ti chiedo mai favori od aiuti, ti chiedo solo la forza di farcela da solo e la saggezza di compiere la scelta giusta.
In tutti questi anni non ti ho mai implorato di fare qualcosa per me, ma stavolta non ho scelta. Voglio che guidi la sua mano, voglio che guidi le cellule di mia moglie a combattere, o a morire, o a fare quello che devono fare perché questo cancro se ne vada senza portare niente con sè. Ti supplico Signore, aiutala a guarire. Non portarmela via.
Non ti faccio promesse che non potrei mantenere, non ti offro i miei anni in cambio dei suoi, ti supplico e basta.
Ora avanti lanciami pure pietre per la mia impudenza, colpiscimi, non mi importa, ma aiutala a guarire.”

In sottofondo e chiusura, mentre la camera stacca ed allarga evidenziando la solitudine del suo dolore, c’è “Beloved Wife”, di Natalie Merchant, canzone su un uomo che dopo 50 anni si è visto morire accanto la moglie e che medita il suicidio come un suo diritto. Dolore amplificato e dopo stacco: era solo un prequel, inizia la puntata e l’operazione… Everwood: una serie dove la bellezza dei testi è la regola, e non l’eccezione: preparatevi al capolavoro, ma con i fazzoletti a portata di mano.