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7 iconici episodi di Black Mirror per i quali abbiamo il disperato bisogno di un sequel

Black Mirror

2) Arkangel

L'installamento del sistema Arkangel
credits: Netflix

Il secondo episodio della quarta stagione di Black Mirror è Arkangel, una potente riflessione sul controllo genitoriale legato alla tecnologia invasiva e al confine tra protezione e oppressione. Diretto da Jodie Foster, l’episodio racconta la storia di Marie, una madre iperprotettiva. Dopo aver perso di vista per qualche ora la figlia Sara da bambina, decide di impiantarle il sistema “Arkangel”: dispositivo sperimentale che permette di geolocalizzarla e perfino vedere attraverso i suoi occhi. Con il passare degli anni, però, questo controllo sfocia in un’invadenza totale. Marie censura le immagini traumatiche o disturbanti che Sara potrebbe vedere, impedendole di confrontarsi con la realtà. La ragazza cresce così in un mondo finto, ovattato, ed è dunque incapace di sviluppare gli strumenti necessari ad affrontare il dolore e la paura. Quando Marie disattiva il sistema pensando che ormai sia superfluo, le conseguenze sono inevitabili.

Sara scopre la verità, si ribella, sperimenta tutto ciò che le è stato negato, fino al tragico epilogo. Il punto di forza di Arkangel è la sua capacità di rendere universale un dilemma genitoriale. L’episodio si interroga su quanto un genitore debba effettivamente controllare i propri figli. La tecnologia qui non è “malvagia”, ma viene usata per alimentare un’illusione: che si possa eliminare il dolore senza conseguenze. In un sequel ideale Sara, ormai adulta e segnata dal trauma, potrebbe essere contraria a ogni forma di controllo tecnologico sui figli pur vivendo in una società dove la sorveglianza è diventata la norma. La sfida del sequel sarebbe mostrare come, nel tentativo di non ripetere gli errori della madre, Sara rischi comunque di trasmettere un altro tipo di rigidità. Questo renderebbe evidente che il problema non è solo nel mezzo, ma nella paura che lo alimenta.

3) Un sequel necessario, quello di Caduta libera, uno degli episodi più iconici di Black Mirror

La protagonista di Caduta libera
credits: Netflix

Caduta libera, il primo episodio della terza stagione di Black Mirror, è uno dei più amati della serie. Una satira agrodolce ma spietata sull’ossessione per l’apparenza, la validazione sociale e il bisogno patologico di approvazione digitale. Diretto da Joe Wright, l’episodio è ambientato in un futuro prossimo in cui ogni individuo è costantemente valutato da chi lo circonda tramite una app di rating. Una sorta di “social score” pubblico che influenza ogni aspetto della vita: i servizi a cui si può accedere, i posti di lavoro, i rapporti interpersonali. La protagonista, Lacie, è ossessionata dal raggiungimento di un punteggio superiore al 4.5 per poter ottenere uno sconto su una casa da sogno. Quando viene invitata al matrimonio di una vecchia amica molto popolare, vede in quell’occasione l’opportunità perfetta per aumentare il proprio rating. Ma una serie di imprevisti – ritardi, litigi, crolli emotivi – la fanno precipitare rapidamente fino a diventare una reietta della società

Solo quando tocca il fondo, rinchiusa in una prigione, Lacie riesce a ribellarsi al sistema grazie all’assenza di filtri, finalmente libera di essere se stessa. Caduta libera è una denuncia con toni tanto ironici quanto inquietanti. Estremizza la superficialità dei moderni rapporti mediati dai social, il peso dell’immagine pubblica e la disumanizzazione causata dall’apparente perfezione. È una parabola amara che fotografa un futuro possibile (e fin troppo attuale). Un sequel di questo iconico episodio di Black Mirror potrebbe mostrare le conseguenze di un collasso del sistema di rating. Un blackout digitale o una rivoluzione sociale hanno distrutto la vecchia struttura, e ora le persone si trovano a vivere in un mondo senza “voti”. In questo contesto, la testimonianza di Lacie potrebbe farla diventare una sorta di guida spirituale. Il sequel si interrogherebbe su cosa accade quando togliamo i like, ma anche su ciò che resta in noi dopo anni di dipendenza dal giudizio altrui.

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