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The Terminal List: Dark Wolf 1×04 – Il lupo ha finalmente imparato a mostrare i denti

Ben ed Eliza in un serrato confronto

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ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste incappare in spoiler su The Terminal List: Dark Wolf.

Il quarto episodio di The Terminal List: Dark Wolf segna un punto di svolta netto nella serie. Dopo un avvio che oscillava tra la costruzione lenta e la retorica muscolare, qui si entra in un terreno molto più interessante: quello delle zone grigie, dove nessuno è davvero innocente e la fiducia è un bene che costa carissimo.
Non è un caso che la puntata inizi con il ricordo dei caduti, un momento che mescola retorica patriottica e riflessione amara. È come se la serie ci dicesse: non c’è guerra senza fantasmi, e questi fantasmi tornano sempre a chiedere il conto. Da lì in poi, tradimenti e ribaltamenti di prospettiva diventano il motore dell’episodio.

In The Terminal List: Dark Wolf non ci sono solo buoni e cattivi

Uno dei meriti principali di questa puntata è il suo rifiuto del manicheismo. Finora, la narrazione di The Terminal List: Dark Wolf tendeva a spingere su una linea piuttosto chiara: i nostri protagonisti, pur imperfetti, stavano dalla parte giusta della storia, mentre gli avversari erano ombre da eliminare.
Con la presenza del Mossad, incarnato dalla coppia Varon-Perash, la situazione, però, risulta traballante. I servizi segreti israeliani non vengono raccontati come alleati senza macchia, ma come giocatori cinici di una partita globale in cui gli interessi nazionali superano ogni etica. Non sono i buoni, e forse non lo sono mai stati, se non per evidente convenienza.

Anche gli iraniani diventano meno bidimensionali: non c’è simpatia nei loro confronti, ma emerge almeno l’idea che, da qualche parte, anche loro abbiano motivazioni comprensibili. Una scelta di scrittura che rende la storia più viva e meno schematicamente propagandista

The Terminal List: Dark Wolf e un chiaro omaggio a Ronin

Landry, sembra finalmente poter dire la sua in questo episodio di The Terminal List: Dark Wolf
Credits: Prime Video

Il momento più memorabile dell’episodio arriva con la sequenza del furto della valigetta. Non serve essere cinefili incalliti per percepire subito la citazione: l’inquadratura sulle manette legate al polso richiama direttamente il film Ronin (1998), uno dei capisaldi del cinema di spionaggio moderno.
Certo, qui la coreografia non raggiunge la spettacolarità e il respiro della pellicola di John Frankenheimer, ma la vibrazione è la stessa. E per chi conosce quel cinema, la scena funziona come un piccolo regalo. Non si tratta di plagio ma di un omaggio: il genere è fatto anche di risonanze, e questa è una di quelle che strappano un sorriso complice.
Il tunnel, le ombre, il respiro dei personaggi che si fa corto, la tensione accumulata in secondi interminabili: è lì che la serie dimostra quanto la regia abbia fatto un salto rispetto ai primi episodi.

Ben Edwards, cowboy sull’orlo del baratro

Fin dall’inizio di The Terminal List: Dark Wolf, Ben Edwards (Taylor Kitsch) si è mostrato per quello che è: una testa calda, incapace di gestire fino in fondo i propri impulsi. In questo episodio, però, quella caratteristica diventa centrale.
La discussione con Hastings (Tom Hopper) è il vero cuore del racconto. Tom Hopper gli fa da specchio e lo mette con le spalle al muro: Ben non è lucido, non agisce più da professionista. Il suo principio di ossessione verso Eliza (Rona-Lee Shimon) lo sta facendo deragliare. E quando Hastings lo inchioda, la serie trova il suo momento più autentico e, paradossalmente, più umano.

Qui Kitsch lavora di sottrazione: il suo Ben è nervoso, scosso, ma ancora incapace di ammettere il proprio cedimento. Come tutti è pronto a rilanciare e controbattere alle rimostranze dell’amico e collega. E lo fa parlando di libertà d’azione e di bisogno di poter agire fuori dagli schemi. Quegli schemi che, a quanto pare, gli sono stati stretti nei suoi anni da Navy Seal. È un antieroe che, piano piano, si frantuma, e questa fragilità lo rende più interessante. Se prima era il solito soldato con un fascino da ribelle, adesso è un uomo che rischia di perdere tutto perché ha compromesso se stesso e non è più in grado di scindere le emozioni dalla missione.

Landry, l’inatteso (anti)eroe

E poi c’è Landry (Luke Hemsworth). Il personaggio è di quelli che non piacciono perché ambiguo, viscido, quasi repellente. Adesso però, sembra arrivato il momento di diventare rilevante. Nelle puntate precedenti era il tipico elemento destabilizzante: scomodo, inaffidabile. Adesso è pure molestatore. Uno, insomma, che ti fa chiedere “perché diavolo è ancora nel team?“.
Eppure, in questo episodio di The Terminal List: Dark Wolf, Landry emerge come l’unico che, fino a ora, non ha tradito. La scrittura lo porta su un crinale rischioso ma efficace: può essere un personaggio fastidioso, ma almeno ha mantenuto una linea di coerenza che manca a molti altri. In un racconto fondato sul tradimento, il più inaffidabile diventa l’unico relativamente affidabile. È un paradosso, ma funziona.
La serie, così, spinge il pubblico a rivedere continuamente i propri giudizi: chi sembra solido crolla, chi appare spregevole rivela, in controluce, una sua forma di integrità.

The Terminal List: Dark Wolf e il tema del tradimento

Ben ed Eliza in un serrato confronto
Credits: Prime Video

L’intera puntata è costruita sul tradimento. Non solo quello più evidente di Eliza nei confronti di Ben, ma anche quello sotterraneo, più diffuso: la fiducia spezzata tra membri della squadra, i giochi di potere del Mossad, i silenzi della CIA.
È una scelta di scrittura che arricchisce la serie. Dopo tre episodi in cui i conflitti sembravano soprattutto esterni, qui la minaccia arriva dall’interno, da chi dovrebbe essere alleato. È il passaggio che porta il racconto da spy-story convenzionale a un thriller più stratificato, con meccanismi paranoici che ricordano Homeland (anche se senza lo stesso livello di sottigliezza).
Il risultato è un episodio che scava, più che colpire, e che lascia addosso la sensazione che niente e nessuno, da questo momento in poi, sarà più al sicuro.

A livello narrativo, la puntata di The Terminal List: Dark Wolf funziona come un heist: preparazione, esecuzione, e imprevisto. La valigetta è il MacGuffin perfetto, l’oggetto che tutti desiderano e che scatena l’azione.
Ma, a differenza di un classico film alla Ocean’s Eleven, qui non c’è glamour, né il piacere della riuscita. C’è, piuttosto, la caduta.
La tensione cresce gradualmente e culmina in un finale che è più amaro che spettacolare. È un ribaltamento che spiazza, e che segna la differenza tra intrattenimento leggero e dramma bellico.

Tecnica solida e nuove sfumature: l’episodio che cambia le carte in tavola

Dal punto di vista tecnico e narrativo, il quarto episodio di The Terminal List: Dark Wolf è senza dubbio il più riuscito finora e segna un vero cambio di passo rispetto all’avvio di stagione. La regia, più coraggiosa e consapevole, si concede qualche vezzo estetico e riesce a mantenere un ritmo costante, senza veri cali di tensione. Le scene d’azione sono gestite con una chiarezza rara nel panorama delle serie di spionaggio: niente tagli frenetici o montaggi confusi, ma un uso sapiente delle luci e dei tempi che lascia lo spettatore dentro la scena, senza disorientarlo.

È un episodio che funziona non solo per la solidità tecnica ma anche perché aggiunge quelle sfumature che finora erano mancate: tradimento, dubbio, ambiguità morale. Ben Edwards si scopre un personaggio più complesso e tormentato, Hastings assume finalmente lo spessore di una coscienza critica, Landry sorprende per il suo paradossale ruolo di figura affidabile, e persino il Mossad entra in gioco con il suo cinismo glaciale. Certo, non mancano eccessi che sfiorano il ridicolo involontario ma nell’insieme la bilancia pende nettamente verso il positivo. L’omaggio a Ronin e la struttura da heist movie regalano all’episodio un respiro più ampio, un’energia che alza finalmente l’asticella e conferma la capacità della serie di crescere episodio dopo episodio. In altre parole, non rivoluziona il genere, ma lo rinfresca con mestiere e intelligenza, cambiando davvero le carte in tavola.

Il lupo digrigna i denti

In definitiva, questo quarto episodio dimostra che The Terminal List: Dark Wolf non è solo muscoli e testosterone. Sa anche giocare con le ambiguità, con la memoria cinefila, con i ribaltamenti morali.
Non è perfetto: qualche subplot resta debole, certe scelte sono un po’ troppo urlate, e la scrittura ogni tanto indulge in frasi che sembrano pensate più per il trailer che per il contesto.
Ma funziona. Tiene alta la tensione, rilancia i personaggi e, soprattutto, ci ricorda che, in una storia di spie e mercenari, nessuno è mai davvero quello che sembra.
E, diciamocelo, se un episodio riesce a farci sorridere pensando a Ronin e allo stesso tempo a dirci che forse il vero affidabile del gruppo è proprio Landry… beh, vuol dire che il lupo nero della CIA ha finalmente imparato a mostrare i denti.