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The Handmaid’s Tale 4×04: potere e diritto di scelta

Tre episodi di The Handmaid’s Tale 4 e siamo già provati. Il quarto ci riprende lì dov’eravamo rimasti, con ancora addosso quella sensazione di sfinimento che ha ingoiato anche June e Janine. Eppure l’istinto di sopravvivenza non può attendere. Gilead non riposa, e così neanche le stanche membra di chi come loro meriterebbe davvero una pausa dalla brutalità e dalla perdita. Ma non c’è tempo di fermarsi, di piangere e di assimilare quanto è appena accaduto.

Col terzo episodio The Handmaid’s Tale 4 ci spinge a vedere fin dove l’oscurità non ce lo permette. E quindi ci porta a sentire sulla pelle quel dolore e quella paura che sono ormai armi predilette di Gilead.

Milk, invece, ci regala una sensazione dolce, ma una visione che ha poco a che vedere con il titolo dell’episodio. Nel panico della fuga tutto ciò che resta da fare a June e Janine è saltare su quel treno diretto a Chicago. Da una parte la fuga a piedi, che ha mostrato già troppe volte la propria inefficacia. Dall’altra una corsa verso l’inferno sceso in terra: il fronte della guerra. Chicago infatti, è ancora la stessa: resiste al nuovo regime mantenendo il proprio status di città degli Stati Uniti. E di conseguenza paga il prezzo di una lunga e dolorosa guerra civile.

In questo epiosodio The Handmaid’s Tale 4 ci mostra sprazzi di realtà che si intrecciano perfettamente alla distopia. Perché il nostro mondo – in una realtà passata e, in alcuni luoghi purtroppo, ancora oggi – non è poi così estraneo alle spietate leggi della guerra. Leggi della guerra portano a leggi della fuga. Eccoci nel mezzo di un altro di quei momenti in cui June prende in mano situazione e iniziativa avviandosi in un percorso che all’inizio sembra non avere alcun senso.

E così in un bellissimo piano sequenza la vediamo calarsi dritta in una delle cisterne del treno. Dentro potrebbe esserci di tutto: calce, vernice, o chissà quale altra diavoleria. E invece…solo latte. Ne è così tanto da soffocare, e assieme a June e Janine soffochiamo anche noi. Per un momento vorremmo entrare nello schermo per chiedere a June che cosa stia facendo!

Eppure sembra l’unica soluzione per scappare da un territorio in cui altrimenti verrebbero catturate e stavolta quasi sicuramente uccise.

Ma questa consapevolezza non basta. Quando il soldato chiude lo sportello della cisterna alla sensazione di soffocamento si mescola la claustrofobia. Questa ha sempre più l’aria d’esser stata una pessima idea. Lo pensiamo noi, lo avverte Janine e forse un po’, lo crede anche June. Nonostante la fortuna di aver trovato la leva che drena tutto quel latte, il disagio non smette di montare. June e Janine sono chiuse nella cisterna di un treno diretto in uno dei posti più pericolosi al mondo.

June continua a fare di testa sua, in ottima fede chiaramente, ma poco consapevole di cosa stia facendo. E per la prima volta questa sensazione tira fuori una nuova Janine. Finora l’avevamo conosciuta come la ragazza che aveva perso qualche rotella sotto il peso delle torture di Gilead. Ma The Handmaid’s Tale 4 ha deciso di farci un regalo mostrandoci finalmente una parte in più di Janine.

Non solo una vittima inerme. Non solo l’anima fragile nelle mani di una compagna forte. O per lo meno non più.

Per Janine è giunto il tempo di porre domande, di chiedersi cosa stia succedendo davvero e di chiederlo a June, prendendosi – se necessario – la libertà di dirle di smetterla di fare di testa propria decidendo della vita degli altri. Per Janine è giunto il momento del dolore che si mescola alla rabbia, alle urla e alle domande scomode. Come quella che interroga June in merito al suo “tradimento”. Una domanda che sappiamo essere di pura frustrazione.

Tutti gli oppressi del regime sanno come si ottengono le informazioni a Gilead. Non a caso non vi era rancore negli occhi di Alma, Sarah e Brianna prima della loro morte. E anche a Janine, per quanto ne voglia dire, basta poco per perdonare a June quella debolezza. Basta l’averle detto l’oggetto del ricatto.

Chiusa in quel vagone non sta avvendendo una semplice discussione. Si sta consumando la frustrazione di una vita che sembra non avere via d’uscita. Quasi come la cisterna stessa, che le imprigiona in un mare di latte, buono da bere ma insufficiente alla sopravvivenza.

Una metafora che vale forse l’intero episodio. Se non fosse che The Handmaid’s Tale 4 ha in serbo per poi sorprese ancora più eclatanti. E ancora una volta, disturbanti.

Perché l’epopea claustrofobica delle due donne si conclude quando urla e spari annunciano loro che qualcosa fuori sta accadendo. Ancora una volta June si assume il rischio, ancora una volta sceglie per entrambe. Fuori potrebbe esserci la morte immediata, la cattura o chissà cosa, eppure tenta ancora di sfidare la sorte.

A questo punto, una novità mai vista: combattenti civili armati che hanno assalito il treno per rubarne le merci destinate alla sopravvivenza di chi combatte al fronte. Il treno viene fermato, i soldati uccisi e quando questo sembra esser tutto i militanti vengono sorpresi dalla visione di due ancelle appena uscite da una cisterna. E non sembrano affatto contenti della sopresa.

“Due obiettivi che camminano”

La legge della guerra, come dicevamo prima. Garantire la sopravvivenza del gruppo evitando rischi non preventivati. Insomma non è il festival della solidarità sotto quel treno, ma fin quando a farne le spese sono servi di Gilead, agli occhi di June si tratta di fuoco amico.

Seppur restii i nuovi militanti di The Handmaid’s Tale 4 accettano di far aggregare June e Janine al gruppo diretto a un covo di combattenti. Al suo interno: la forma e il colore della guerra.

Provviste magre e razionate, vestiti sfusi. Diffidenza, stupore, occhi sospettosi. Gruppi armati, mitra e gerarchie come è solito tanto nei regimi quanto nei gruppi di resistenza. Ma peggio di tutto ciò, le carte in tavola subito e senza giri di parole: in guerra tutto ha prezzo. Anche quando chi lo fa sembra provare ribrezzo verso coloro contro cui combatte.

Steven, capo del gruppo (che a quanto pare ha poco a che vedere col Mayday) gioca con i nostri sentimenti e con quelli di June. Prima parla con disprezzo dell’assurdità di avere schiave sessuali negli Stati Uniti e poi non manca di chiedere a June di essere altrettanto con lui. “O tu o lei (Janine), è indifferente.”

“Qui nulla è gratis”

Un altro taglio di realtà che si insinua nella distopia di The Handmaid’s Tale 4. Quello che ci mostra un’altra radice della deriva socio-politica che è stata Gilead, che affonda il proprio corpo in una cultura maschilista che con il fanatismo religioso dei Figli di Giacobbe aveva ed ha tuttora più cose in comunque di quanto Steven e gli altri come lui possano credere.

A June non sembra vero. È come tornare nelle grinfie di una Gilead che però ha cambiato abito e parole.

Ancora una volta prende l’iniziativa e si immola affinché a essere protetta sia Janine, troppo più fragile – secondo lei – per sopportare altra violenza. Ma nella sua lotta a Gilead, June ha dimenticato di fare i conti con i propri limiti e con quelli degli altri. Stavolta davvero non può farcela. Ormai si è aperta per lei una stagione di lotta e resistenza in cui l’oppressione non può più avere posto.

Capendo ciò, nonostante “buona volontà” e necessità di un rifugio, manda al diavolo Steven, e si prepara a rimettersi in cammino assieme a Janine. Ma stavolta è quest’ultima a prendere l’iniziativa. In silenzio, regalandoci una lente di ingrandimento su quella che è stata la sua vita prima di Gilead, il suo rapporto con la maternità, con gli uomini, col proprio corpo e col sesso.

E ancora una volta The Handmaid’s Tale 4 ci regala uno splendido spaccato di realtà dei nostri giorni, che di distopico purtroppo ha meno di quanto vorremmo.

Una realtà fatta di donne sole lasciate a curarsi di responsabilità che avrebbero dovuto essere di due persone. Condannate a convivere con un “ruolo biologico”. Con quel senso di colpa indotto dalla società in quelle donne che vivono liberamente la propria sessualità e/o la propria promisquità. Scelte che non sta a nessuno giudicare se non a se stessi.

La realtà di Janine è quella di una donna che ha combattuto da sola con indigenze economiche e maternità. Con condanne sociali e con ingiuste violenze psicologiche. The Handmaid’s Tale 4 inserisce in Milk l’attualissimo tema dell’aborto attraverso la storia di Janine, mostrando l’assurdità di certe posizioni pro-vita quando vengono messe a confronto con scienza e supporto medico.

Janine non era una cattiva madre e non era una cattiva persona. È stata, prima di Gilead, una donna con uno stretto legame alla propria sessaulità.

Da dove ciò venisse, non ci è dato saperlo. Conseguenza di traumi, di abusi, oppure un mezzo per allievare altri problemi o semplicemente una sana e sacrosanta passione. Qualunque fosse la ragione alla base del rapporto di Janine col sesso ancora non lo sappiamo e forse non lo sapremo mai. Quello che sappiamo ora però, è che di qualunque cosa di tratti, quel rapporto diventa la fune in aiuto di June.

Per la prima volta è quest’ultima a non poter fare qualcosa che è più grande di lei. E per la prima volta, il potere della scelta passa a Janine. Che lo esercita sicuramente sotto le pressioni di una situazione che di normale non ha nulla. Ma che forse ai suoi occhi non era più squallido di qualcuno dei suoi peggiori ricordi del passato. The Handmaid’s Tale 4 lascia a noi l’onere dell’interpretazione.

Il potere della scelta, per noi, di cosa trarre da questa storia.

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