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Roar è il grido femminista che forse mancava ad Apple TV+

Disponibile dal 15 aprile su Apple Tv+, Roar è la serie antologica basata sui racconti di Cecilia Ahern che dà voce alle donne in una modalità inedita.

Composta da 8 episodi indipendenti e autoconclusivi, Roar mostra situazioni abituali viste dalla prospettiva delle donne protagoniste, enfatizzando il messaggio veicolato in ogni episodio attraverso l’uso di metafore, rappresentate non nella loro componente simbolica ma mostrate in modo diretto allo spettatore, combinando generi e atmosfere che vanno dal realismo magico all’horror psicologico. Questa modalità inedita di rappresentazione scelta da Liz Flahive e Carly Mensch, già ideatrici di GLOW , consentono l’immedesimazione immediata nelle vite delle protagoniste, rendendo la serie una stravagante e profonda antologia femminista, specchio crudo e reale di cosa voglia dire essere donna nella società moderna. Ad accrescere la qualità della serie, che vanta senza dubbio di un’originalissima scrittura, è il cast stellare che comprende (tra le altre) Nicole Kidman, Cynthia Erivo e Alison Brie, rispettivamente protagoniste degli episodi più controversi del nuovo progetto di Apple Tv, analizzati qui di seguito per comprenderne appieno il simbolismo, che rende Roar il grido femminista che mancava al mondo seriale.

Procedendo con ordine, partiamo con l’analizzare l’episodio “La donna che mangiava fotografie”, con protagonista Nicole Kidman nei panni di una madre alle prese con la partenza di suo figlio per il college e il trasferimento di sua madre da lei a causa della demenza senile. Come consigliatole dal medico, tenere la madre con sé ha effetti benefici nel contrastare l’avanzamento della demenza, ma è ugualmente importante mantenere il contatto con ciò che l’ha sempre circondata, per cui la protagonista noleggia un furgone per portare con sé quanti più oggetti possibile, utili a sua madre per sentirsi a casa. A quel punto, la donna si imbatte in un vecchio album fotografico che la madre teneva in un armadio e, presa dalla nostalgia, comincia a masticare e mangiare una delle fotografie; questo bizzarro comportamento le fa rivivere vividamente il momento catturato dallo scatto, tanto da non riuscire a fermarsi alla prima fotografia e a sentire l’esigenza di mangiarne ancora e ancora, arrivando a casa con l’album ormai vuoto. Questa particolare metafora messa in scena dal secondo episodio di Roar ha diversi significati: il primo è il voler rappresentare la paura di perdere ciò che ci rende ciò che siamo, ovvero i nostri ricordi. L’aver perso suo padre e lo star perdendo lentamente sua madre fanno temere alla protagonista di star perdendo i contatti con tutto ciò che la lega al suo passato, tanto da sentire l’esigenza di tenersi stretti (letteralmente) dentro di sé tutti i ricordi d’infanzia. Alla perdita del passato segue poi l’incertezza del futuro, dovuta anche alla partenza di suo figlio, sempre meno bisognoso delle sue attenzioni. Altro aspetto che ne deriva è uno sguardo inedito sui disturbi alimentari provocati dagli stati di ansia e depressione.

Roar

L’episodio “La donna con i morsi sulla pelle” mostra invece l’altro lato della maternità, ed ha come protagonista l’attrice Cynthia Erivo. L’episodio numero 4 di Roar si apre con il parto difficile della sua protagonista, che rischia di perdere la vita per un’emorragia non appena dà alla luce suo figlio. Scampato il pericolo, ritorna poi alla sua vita abituale, rientrando al lavoro in cui, seppur occupando una posizione di prestigio, deve impegnarsi il doppio per non lasciare che la recente maternità influisca sul suo rendimento. In questo frenetico ritmo tra casa e lavoro, la donna comincia a notare sul suo corpo degli strani segni, a cui non sembra dare particolarmente peso dal momento in cui si avvicina il giorno della partenza per un viaggio di lavoro. Questi segni, che prendono via via sempre più l’aspetto di morsi, diventano sempre più numerosi e sanguinolenti, finché da uno di questi non ne estrae un dente. Il simbolismo dietro questo episodio mette in risalto principalmente un aspetto: il senso di colpa che la donna prova nei confronti del figlio per il semplice fatto di andare al lavoro la mangia viva, letteralmente. Da qui si aprono poi le questioni riguardanti le donne e il lavoro, l’essere madri e lavoratrici, sul dare le giuste attenzioni ai propri figli prendendosi anche il giusto tempo per sé stesse e sulla depressione post partum che, nei casi più gravi, sfocia anche nell’autolesionismo. Il senso di colpa che la donna prova nei confronti del figlio è legato anche al non riuscire a collegare all’evento del parto un sentimento di gioia, essendosi trasformato letteralmente in un bagno di sangue a causa dell’emorragia, aprendo un dibattito interessante sull’aspetto traumatico che può avere il parto, di cui raramente si discute anche tra mamme.

L’ultimo episodio analizzato è “La donna che ha risolto il suo omicidio” , in cui Alison Brie nei panni della vittima riesce ad uscire dal suo corpo e a seguire le indagini del suo omicidio come se fosse un fantasma. In questo episodio in particolare di Roar, non c’è una vera e propria metafora da cogliere ma l’intento dell’episodio è quello di mostrare tutti i pregiudizi legati al mondo femminile: quando i detective trovano il corpo senza vita della donna con un vestito da coniglietta e una cintura tra le mani, danno per scontato che si tratti di una prostituta o di un gioco erotico finito male, mettendo in risalto la componente del se l’è cercata più che quella del simbolismo del modus operandi del killer, di cui sarà la stessa vittima ad accorgersi e a lasciare indicazioni all’unica detective donna del dipartimento, aiutandola a risolvere il caso del suo stesso omicidio per poi dissolversi definitivamente dal mondo terreno.

Da come si può evincere da soli tre episodi presi in esame, Roar riesce a spaziare dai pregiudizi alle aspettative che la società riversa sulle donne, dalla violenza psicologica a quella fisica, dai cliché alle questioni rimaste per troppo tempo senza voce, tanto da arrivare a essere il nome stesso della serie “ROAR” una metafora del grido di tutte le donne, a cui non si può più non dare ascolto, e che dunque non poteva mancare al catalogo di Apple TV+. La modalità in cui queste storie vengono gridate rendono ogni episodio semplice ma di forte impatto, una visione da non farvi scappare tra quelle della piattaforma.

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