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Tulsa King 3×08 – Fiducia, tradimenti e sillogismi

tulsa king, la serie tv più vista su Paramount+

ATTENZIONE: il seguente articolo potrebbe contenere spoiler su Tulsa King 3.

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Se c’è una cosa che Taylor Sheridan sa fare meglio di quasi chiunque altro in televisione è costruire mondi che respirano. Non mondi perfetti, non mondi giusti. Mondi vivi, con venature di sangue, codici arcaici, desideri sepolti e fratture emotive che sanguinano in silenzio. Tulsa King 3, pur annaspando in mezzo a diverse di sottotrame lasciate a seccare al sole, ci regalata un ottavo episodio, Nothing Is Over, importante per il proseguimento della corsa verso il finale di stagione. Un episodio con un respiro roco, disperato ma autentico.

Dopo alcuni episodi di riflessione e una ripresa in grande stile questo episodio sembra impostare la rotta verso un punto preciso. Non lo fa con delicatezza, né con grazia: lo fa con una bara da riempire ancora, una bomba innescata e un figlio che sceglie l’amore invece del sangue. E in un’epoca di serie che urlano per essere viste, è quasi commovente che Tulsa King 3 ci ricordi che a volte il potere della bellezza può anche stare nel non far (quasi) morire nessuno.

Sì, avete letto bene: nessuno muore nell’esplosione del Delmore Grand Hotel. Non Tyson, non Spencer, non Margaret, non Thresher. Neppure un cameriere innocente. In un genere che si nutre di carneficine spettacolari, questa scelta non è un segno di debolezza, ma di coerenza morale. Perché Tulsa King 3 non è mai stata una serie sulla distruzione fine a se stessa. È sempre stata, sotto la scorza del gangster in esilio, una storia su ciò che resta quando tutto va in pezzi. E su chi decide cosa ricostruire.

Tulsa King 3: l’erede che sceglie di non ereditare

Forse il momento più riuscito di Nothing Is Over è l’intuizione che Cole Dunmire non è solo il figlio del cattivo ma l’uomo capace di spezzare la catena. La sua scena con Spencer, lui che arriva trafelato, con gli occhi pieni di panico e di vergogna, a sussurrare che suo padre sta per far saltare in aria “persone vicine a Manfredi“, è un ottimo sottotesto. Non c’è eroismo gridato, non c’è redenzione facile. C’è solo un ragazzo smarrito che sceglie di proteggere qualcuno che ama. Anche, e soprattutto, a costo di tradire il proprio sangue.

E qui sta la differenza con altre saghe criminali: qui, il tradimento non è un atto freddo, calcolato, strategico. È un gesto emotivo, fragile, quasi goffo. E proprio per questo è umano. Cole non è un boss in erba: è un uomo che sta ancora imparando a stare in piedi. E il fatto che la serie abbia rinunciato a farne un Macbeth moderno, il figlio che uccide il padre per prendere il trono, è una scelta narrativa di una certa maturità.
Cosa succederà a Cole? Il suo destino sembra segnato con questo gesto. Dubitiamo che suo padre, Jeremiah, potrà perdonarlo. Ma lo scopriremo guardando gli ultimi due episodi di Tulsa King 3, su Paramount+.

Dexter Deacon: un’occasione mancata in tuta da tecnico

Dallas Roberts è un attore straordinario e il suo Dexter Deacon avrebbe potuto essere il Joker di questa stagione: caotico, imprevedibile, carismatico. Invece, viene ridotto a una macchinetta del conflitto. Il suo passaggio repentino dal campo di Dwight a quello di Dunmire manca di spessore psicologico. Perché tradisce? Perché Dwight lo disprezzava? Davvero basta questo a un fabbricante di bombe che ha ucciso decine di persone?

Peggio ancora: la sua uscita di scena è quasi grottesca. Si presenta alla tenuta dei Dunmire per cambiare casacca, piazza una bomba in un hotel blindato (dove, stranamente, non c’è un solo metal detector), poi se ne va su una Mercedes nuova fiammante. Sul serio? Né furgone anonimo, né travestimento credibile, né minima attenzione all’operatività. Sembra più un cattivo di Mission: Impossible anni ’90 che il terrorista letale raccontato dall’FBI.

E quando Dwight lo seppellisce vivo nella bara di un Montague (gesto teatrale, sì, ma perfetto per il tono della serie) non proviamo tristezza né sollievo. Solo un senso di spreco. Perché Deacon meritava di essere il nemico che costringe Dwight a chiedersi: “Sono meglio di lui?”. Invece, sembra essere solo un grilletto narrativo per far esplodere un hotel.

Dwight filosofo, Musso confuso e il fantasma di Cleo

Ah, Dwight. Sempre più filosofo in giacca e cravatta che gangster in pensione. Lo avevamo capito lo scorso episodio. Ce lo conferma anche questo. La scena in cui smonta Musso con un sillogismo alla Conan Doyle (“quando hai eliminato l’impossibile…”) è pura poesia. Non è un vezzo: è la conferma che Dwight non agisce d’impulso, ma per logica morale. E quando seppellisce Deacon, non lo fa per vendetta o per rabbia ma perché un terrorista non merita nemmeno il tribunale: merita il silenzio.

Musso, invece, resta un enigma opaco. Vuole giustizia per il suo socio morto? Va bene. Ha arrestato Bevilaqua, un personaggio che poteva essere una pedina fondamentale, per mantenere il suo gioco? D’accordo. Perfetto. Le sue motivazioni personali sono chiare ma il suo ruolo istituzionale è un po’ deboluccio. Avremmo voluto di più. Avrebbero potuto darci di più. Invece, in Tulsa King 3, l’FBI sembra più un accessorio narrativo che una forza reale.

E poi c’è Cleo. Ricordate Cleo? L’ereditiera della distilleria, ex fidanzata di Mitch, con cui ha condiviso viaggi silenziosi e sguardi carichi di intimità? Scomparsa. Dissolta. E al suo posto, nel momento più emotivamente carico dell’episodio, vediamo Mitch raggiungere… Spencer. Ma perché? Non c’è mai stata niente tra loro. È una scelta che stona, che sembra dettata non dalla storia ma dalla voglia di sfruttare un personaggio femminile interessante come Spencer, finora messo da parte. Un errore piccolo che potrebbe, però, essere sintomatico: Tulsa King 3 sta cominciando a confondere visibilità con rilevanza emotiva?

Zero morti, ma non per mancanza di coraggio

L’esplosione del Delmore Grand Hotel, scena che chiude l’episodio, è montata quasi come un omaggio al Cavaliere Oscuro: orologi che ticchettano, telefoni che squillano, poliziotti lenti, Dwight che irrompe urlando. Eppure, nessuno muore. E sapete una cosa? È giusto così.

Perché questa non è una serie che glorifica la violenza: è una serie che ne misura il costo. E se tutti escono vivi, anche Mitch, sbattuto a terra ma cosciente, è perché Tulsa King 3 ci ricorda che il vero dramma non è nella morte, ma nella scelta di evitarla. Dwight non salva l’hotel e nemmeno chi c’è dentro, ci mancherebbe, per tutelare i suoi affari. Lui è lì per salvare Margaret. Anche da Thresher, che intanto cerca di portarla dalla sua parte, adulandola e mettendola in guardia dal boss newyorkese. E in quel gesto c’è tutto il suo cuore.

Tulsa King 3: meno due al gran finale

A meno che… a meno che non abbiano deciso di chiudere la cosa nella prossima stagione. Anche perché… dov’è Samuel L. Jackson? Girano in rete diverse immagini di lui seduto con Stallone, intenti a chiacchierare. Sappiamo anche che dovrebbe interpretare il King di New Orleans. Ma anche in Nothing Is Over, non c’è traccia di lui. Solo una domanda che cresce nel silenzio: quando arriverà?
Finora non ne abbiamo mai parlato ma il tempo comincia a stringere e il desiderio di vedere all’opera il grande attore è davvero tanto. Certo, di materiale per chiudere bene ce ne sarebbe a sufficienza anche così ma vuoi mettere?

Forse NOLA King arriverà negli ultimi minuti della stagione. Come un tuono dopo un temporale silenzioso. O forse ci stanno preparando un finale che lascia tutto in sospeso, per architettare qualcosa di più grande. In fondo, in Tulsa King 3 nulla è davvero over: nemmeno l’attesa. E se c’è una cosa che sappiamo di Samuel L. Jackson, è che quando entra in scena non si presenta in punta di piedi. Si annuncia con un discorso, una pistola… o entrambi. Chi vivrà, vedrà, insomma.
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