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The Terminal List: Dark Wolf 1×07 – Un lupo nero e sempre più solitario in questo finale di stagione

Ben si prepara ad accogliere i soldati iraniani in The Terminal List: Dark Wolf

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ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste imbattervi in spoiler su The Terminal List: Dark Wolf.

Dopo sette episodi di fughe rocambolesche, complotti internazionali, cuscinetti nucleari e amicizie che scoppiano più fragorosamente di un ordigno improvvisato, The Terminal List: Dark Wolf è arrivata al capolinea. Il finale aveva un compito ingrato: chiudere la parabola di Ben Edwards (Taylor Kitsch), preparando il terreno per l’inevitabile scontro con James Reece (Chris Pratt). E, perché no, strizzare l’occhio ai fan in attesa di una possibile seconda stagione. Insomma, un pacchetto all inclusive che avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque.

Il risultato? Un episodio che non rinuncia all’adrenalina, che offre qualche momento memorabile (Haverford con il cigarillo in bocca vale da solo un meme), ma che allo stesso tempo lascia addosso una nota di incompiutezza. Come quando esci dal cinema e pensi: “ok, bello, ma mi aspettavo la botta finale”.

Un cattivo vecchio stampo. Forse troppo

Havenport mostra tutta la sua arroganza
Credits: Prime Video

La settima puntata, dopo un lungo riassunto di quanto visto finora, inizia negli uffici della CIA, a Langley. Attorno a una scrivania troviamo un burocrate dell’Agenzia, Raife Hastings (Tom Hopper) e Jeb Haverford (Robert Wisdom). Haverford, con calma olimpica, accende un cigarillo nell’ufficio alla CIA. Il burocrate prova a dissuaderlo ma l’uomo risponde con una battuta. L’inquadratura lo ritrae rilassato, tronfio, con quell’aria di chi ha già vinto. È un’immagine potente, che richiama subito alla mente il Colonnello interpretato da Danny Glover in Shooter. Lo stesso cinismo glaciale, la stessa arroganza istituzionale, la stessa voglia di giocare con la vita degli altri come se fosse una partita a scacchi.

Peccato, però, che mentre Glover in Shooter trovava la fine che meritava, Haverford sembra uscire di scena senza pagare davvero. Il pubblico resta con la voglia di vedere un villain punito, mentre la serie sceglie di lasciare tutto in sospeso, dopo l’incontro con Ben. Le sirene in lontananza, e le parole dell’ex SEAL prima di uscire dalla casa, ci fanno pensare che verrà arrestato, giudicato e imprigionato in attesa di venire giustiziato (il tradimento è punibile con la morte) ma…

Al di là delle scelte narrative qui c’è un problema concettuale del personaggio. Le spiegazioni che Havenford dà a Ben sono piene di retorica. Una retorica che parla di Vietnam, del Libano e su come gli Stati Uniti dovrebbero muoversi nello scacchiere internazionale. Una retorica che oggi suona terribilmente datata. Certo, il personaggio è un uomo anziano, ormai in pensione, e la vicenda è ambientata circa dieci anni fa. Ma in un contesto in cui le motivazioni per uno scontro con l’Iran non mancano, il suo monologo sembra più un esercizio retorico che una reale minaccia geopolitica.
Il risultato è che Haverford resta un cattivo da manuale, ma invecchiato male. Solido nella messa in scena, un po’ debole nelle motivazioni.

The Terminal List: Dark Wolf e il capro espiatorio

Se c’è un personaggio che esce sconfitto dal finale di The Terminal List: Dark Wolf, quello è Raife Hastings. La sua parabola si chiude con un epilogo amarissimo. Paga per colpe che non ha commesso, se non quella di aver seguito Ben Edwards e di aver tentato, fino all’ultimo, di proteggerlo. In un contesto di intrighi e tradimenti, Raife è forse l’unico personaggio che mantiene una bussola morale, anche se imperfetta.

Il fatto di essersi staccato in tempo dalla spirale autodistruttiva di Ben gli consente di non fare la stessa fine, ma non lo salva dal destino di capro espiatorio. È un’uscita di scena che lascia l’amaro in bocca perché Raife, pur con le sue improvvise “conversioni” e le contraddizioni interne, era il volto più umano della serie. La sua morte, o comunque la sua esclusione dalla partita finale, suona ingiusta. E forse è proprio questo il punto: ricordarci che non sempre, in un thriller spionistico, la giustizia vince davvero.

Landry e Mo: vittime collaterali

Se Raife almeno ottiene una conclusione coerente con il suo percorso, Landry (Luke Hemsworth) e Mo (Dar Salim) non hanno la stessa fortuna. Il finale di The Terminal List: Dark Wolf li liquida in maniera troppo rapida, quasi sbrigativa. Certo, i due personaggi si prendono una grossa rivincita sui cattivi, a differenza di Raife, eliminandone due e vendicando i compagni d’arme caduti nel corso delle sei puntate. Ma Landry e Mo, che avevano contribuito a dare ritmo e corpo all’azione, si trovano a uscire di scena senza un vero saluto. E Landry, tra un sorso di birra e l’altro, lo dice chiaramente!

È un peccato, perché entrambi meritavano un destino migliore. La sensazione è che la sceneggiatura abbia sacrificato le loro storyline per arrivare in fretta alla resa dei conti con Haverford e Ben. Se la scelta è stata intenzionale, potrebbe avere senso solo in prospettiva. Magari gli autori vogliono lasciarsi qualche porta aperta per una seconda stagione, con un ritorno a sorpresa. Ma se così non fosse, resta un po’ il dispiacere di aver perso due comprimari che si erano fatti amare e che avrebbero potuto dare qualcosina in più al racconto.

Il ritorno di Reece e i colpo di scena finale

Sapevamo sarebbe tornato. E sapevamo lo avrebbe fatto in grande stile.
Quando tutto sembra perduto e Ben è ferito e accerchiato da uno squadrone di soldati iraniani pronto a finirlo, ecco che arriva la cavalleria. James Reece e i suoi compagni d’armi piombano in scena come un fulmine, ribaltando le sorti dello scontro. È una dinamica già vista, certo, ma che funziona sempre: lo spettatore, per un attimo, tira il fiato e prova quella scarica di soddisfazione che solo un salvataggio in extremis sa dare.
La scena, poi, sottintende un rafforzamento del legale tra i due che, in The Terminal List, va spezzandosi come ben sappiamo. E questa è la ciliegina sulla torta.

Mesi dopo, quando tutto sembra finito e la quiete non sembra prevedere altre tempeste, ecco la comparsa di Pablo Schreiber nei panni di Hank ‘Dash’ Dashnaw. Il suo personaggio (ex SEAL anche lui?) si presenta subito come figura di spessore, uno che sa il fatto suo, e che tenta di reclutare Ben Edwards nelle operazioni clandestine della CIA. Tra i due c’è chiaramente un passato condiviso, e la scena – breve ma incisiva – lo lascia intuire senza bisogno di grandi spiegazioni.

Ed è qui che nasce un dubbio. Quella di Schreiber è una semplice apparizione per fare felici i fan di The Terminal List, o è l’esca messa dagli autori per annunciare una seconda stagione di Dark Wolf? In entrambi i casi, l’effetto è centrato: l’entrata in scena di Dash ricorda a tutti che la parabola di Ben non è destinata a chiudersi da sola, ma si intreccia in modo inevitabile con quella del protagonista della serie madre. Una promessa sottintesa che suona come: “Il meglio deve ancora venire”.

The Terminal List: Dark Wolf e il suo cuore pulsante

Ben Edwards. È lui il personaggio attorno a cui tutto ruota, ed è lui che porta sulle spalle il peso di chiudere il cerchio. Eppure, proprio qui, la scrittura inciampa leggermente. Dalla lettera lasciata a Reece all’interrogatorio sotto poligrafo per entrare nella CIA, il suo linguaggio diventa retorico, a tratti sopra le righe.

Sembra più un artificio pensato per convincere lo spettatore che Ben sia ormai impazzito o quantomeno fuori controllo. Più che un’evoluzione naturale del personaggio si ha l’impressione di un impennata esagerata, un passo più lungo della gamba. E questo è un peccato, perché Edwards aveva già dimostrato di essere abbastanza complesso e carismatico da reggere da solo l’intera struttura narrativa. Non servivano proclami altisonanti per rendere credibile la sua discesa verso il baratro. Bastava la sua umanità ferita, la rabbia, la vulnerabilità che Taylor Kitsch ha saputo interpretare fin dal primo episodio.
Così, si trasforma un personaggio già ben strutturato appesantendolo con un’aura tragica che rischia di farlo apparire sopra le righe.

Un finale senza piena catarsi

Uno sconsolato Raife, in The Terminal List: Dark Wolf
Credits: Prime Video

Arrivati alla fine, il vero problema di The Terminal List: Dark Wolf non è la mancanza di azione, né quella di tensione. Questi elementi non sono mai mancati, e il finale lo conferma. Quello che manca davvero è la catarsi. Quel momento che ti fa battere le mani sui braccioli della poltrona e dire “sì, ne è valsa la pena”.La serie chiude il cerchio, certo, senza regalare quel brivido conclusivo che ti resta addosso. Non c’è un sorriso, non c’è un colpo di scena travolgente, non c’è quella soddisfazione piena che dovrebbe accompagnare lo spettatore dopo otto episodi di tensioni, morti, complotti e tradimenti. Tutto resta sospeso, quasi in attesa di una prosecuzione.

Tirando le somme, The Terminal List: Dark Wolf è stata una serie ambiziosa. Ha unito spy story e azione muscolare. E lavorato sui drammi interiori dei personaggi. Ha mostrato un Ben Edwards complesso, diviso tra lealtà e follia. E ha regalato momenti memorabili, dalle scene in chiesa di Raife alle sparatorie nei locali e nelle strade della Germania, fino alle tensioni negli uffici della CIA, sorretta da un cast davvero, davvero bravo.

Il finale, pur non avendo la stessa forza d’impatto dell’avvio, porta comunque a compimento i principali fili narrativi. Haverford rimane un villain solido, anche se con motivazioni forse troppo ancorate a un’idea di guerra fredda un po’ datata. Raife si conferma il vero sacrificato della storia, l’unico a pagare davvero per colpe che non ha commesso, ma la sua uscita lascia comunque il segno. Ben, tra retorica e fragilità, resta un protagonista magnetico, mentre Landry e Mo avrebbero meritato qualche scena in più: il loro epilogo potrebbe essere un indizio per un possibile ritorno. Infine, l’ombra di Reece, anche se introdotta con la leggerezza di un teaser, funziona bene come ponte verso ciò che potrebbe arrivare dopo.

In definitiva, The Terminal List: Dark Wolf è un buon prequel, solido e coinvolgente, ma che non lascia quella piena catarsi che ci si aspetta da un finale di stagione. Si chiude con la consapevolezza che la storia non è finita e che, se davvero ci sarà una seconda stagione, avrà il compito di restituire ciò che qui è mancato: quel guizzo finale capace di trasformare una buona serie in una grande serie.