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The Pitt: Un arrivederci straziante e autentico – La Recensione del Finale di Stagione

La fine del turno durante il finale di The Pitt

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Adesso nulla sembra muoversi più al Pittsburgh Trauma Medical Center. Il caos ha abbandonato le stanze, ma non ha portato via con sé il dolore. Quello è rimasto lì, dove medici e specializzandi hanno trascorso quindici ore sospesi tra la sofferenza e la speranza, tra ciò che è ineluttabile e irreversibile e ciò che, invece, può ancora avere un’altra possibilità. Ma noi di questo non sappiamo nulla, perché, come i protagonisti, anche noi – alla fine del turno – abbiamo riposto le nostre cose nello zaino, svuotato gli armadietti e lasciato il Pittsburgh Trauma Medical Center di The Pitt.

Da ora in poi tutto ciò che accadrà non si svolgerà più sotto i nostri occhi. Non sarà più filtrato dallo sguardo stanco, dal volto scavato e pallido di chi cerca di combattere contro l’irreversibile da quindici ore. Ci saranno altri occhi, altre mani, ma la medicina, le corsie, la realtà spietata e immutabile: tutto questo resterà tale e quale. Solo noi non saremo più lì a guardarlo. E, per quanto possibile, questo basterà a lenire il dolore. Occhio che non vede, cuore che non duole. Vale così per i protagonisti che tornano a casa e, almeno fino al giorno dopo, possono illudersi che esista anche qualcos’altro. E vale per noi, quando ci ritagliamo un momento di pace, cercando di sopravvivere a tutte le mancanze, alle sofferenze, ai vuoti.

Ed è così che The Pitt arriva alla fine: con un arrivederci straziante e autentico in linea con lo sviluppo di una delle più grandi Serie Tv del 2025

Gli specializzandi di The Pitt
Credits: HBO

Sono tutti liberi di andare. L’inferno, per qualche ora, si è placato. Ma non andranno via soli. In mezzo a quelle cianfrusaglie accumulate, negli zaini, restano frammenti di vita che si aggrappano con forza. Nomi e volti di persone passate di lì in quelle ore, e di cui, a volte, tendiamo a dimenticarci. Ma non loro. Resistono il volto di una madre e di una figlia che tornano a casa insieme, l’immagine di un genitore disperato che implora aiuto e il ricordo soffocante della morte disumana di una bambina. In quegli zaini da lavoro continua a scorrere la vita, quella stessa vita che The Pitt in queste puntate è riuscita a riportare sullo schermo nei suoi momenti più bui, raccontando una disperazione comune senza mai scadere nell’enfasi o nell’eccesso. Non ce n’è bisogno, dopotutto: il dolore è già potente e monumentale da sé.

E così The Pitt, trovando il giusto equilibrio, ha saputo raccontare l’esistenza attraverso più di cento pazienti, cartelle cliniche che non hanno mai descritto solo diagnosi, ma frammenti di realtà che scalpitano per essere ascoltati dentro e fuori dal piccolo schermo. E ad ascoltare c’erano loro: medici e specializzandi fragili e impreparati e fragili davanti alla vita almeno quanto chi chiedeva aiuto. Persone che, alla fine del turno, non avevano un luogo da chiamare casa, perché l’università gli aveva prosciugato fino all’ultimo centesimo; medici che – poco prima di lasciare il pronto soccorso – piangevano disperati, perché quel posto, seppur straziante, era casa loro. E fuori da lì si nascondono cose che non possono essere curate con la medicina, ferite che sfuggono a ogni protocollo, contro cui non esistono strumenti.

C’è chi torna dalla sorella, e chi azzarda il proprio futuro. E poi c’è Robby, che andrà a dormire come se questa fosse stata una giornata normale, un altro turno qualsiasi. Come se non avesse incrociato la morte centinaia di volte nello stesso giorno, e come se fosse riuscito a salvarli tutti. Da quel turno, che tanto ricorda il passato, Robby deve ricominciare. Mettere un punto e voltare pagina. Domani sarà un altro giorno e, se andrà bene, non dovrà affrontare una sparatoria. Ma la morte, quella no, non potrà evitarla.

Noah Wyle in una scena di The Pitt
Credits: HBO

Dal sole che si leva all’alba delle 7:00 del mattino fino a quello che tramonta lasciando spazio al buio delle 22:00: due orari in cui è sempre troppo presto o troppo tardi per fare qualunque cosa, ma gli unici che Robby ha per prepararsi al tormento e poi provare a elaborarlo. Ed è in quel momento che anticipa il sole che scalda che Robby deve scrivere la pagina più importante della sua storia, tornando al lavoro nel giorno che, per lui, segna l’inizio di ogni tormento interiore. Un tormento con cui dovrà fare i conti, dialogare, e infine affrontare guardandosi allo specchio.

Fuori è troppo buio, o il sole è ancora troppo timido: così si sente anche lui. Esattamente come nei suoi rari momenti lontano dal lavoro, sempre sospeso a metà, tra il buio del pronto soccorso e un timido sole che illumina la fragile speranza di potercela fare ancora, di salvare qualcuno, anche sapendo che non potrà salvarli tutti. Così The Pitt si congeda, lasciandoci in dono quindici episodi che raccontano la vita nella sua essenza più autentica, tra sofferenza e speranza, tra compromessi e perdite.

Ma non è la fine. Ci sarà un nuovo turno – e, per noi, una nuova stagione – e tutto ricomincerà da capo. La giostra della vita tornerà a girare: qualcuno scenderà, qualcuno resterà sospeso in alto, altri si godranno la vista, e altri ancora non vedranno l’ora di fermarsi. The Pitt darà voce a ognuna di queste esistenze, raccontando la vita come ha sempre fatto: senza semplificarla, senza amplificarla, ma semplicemente lasciandola scorrere. Come ha detto Robby, «è solo dolore che va lasciato andare». E adesso che l’irreparabile è accaduto, non resta che lasciarlo fluire.

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