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Arrivata su Netflix questo mercoledì, Mrs. Playmen è una miniserie che guarda al passato per interrogare il presente (in streaming qui). Al centro del racconto c’è Adelina Tattilo, figura realmente esistita e direttrice della prima rivista erotica italiana, Playmen. A interpretarla è Carolina Crescentini, che restituisce un personaggio di forza e vulnerabilità, di idealismo e pragmatismo, capace di incarnare e, insieme, di mettere in discussione, l’immagine della donna emancipata degli anni Settanta. La serie, ambientata nella Roma dei primi anni ’70, si apre su un mondo che ribolle di contraddizioni. Da un lato, la voglia di libertà e di rinnovamento. Dall’altro, il peso di una tradizione cattolica e patriarcale ancora profondamente radicata nel tessuto sociale. In questo scenario, Adelina si ritrova improvvisamente sola: il marito Saro Balsamo (interpretato da Francesco Colella), co-fondatore della rivista, fugge lasciandola sommersa di debiti e braccata dalla Buon Costume. Ma anziché arrendersi, Adelina sceglie di trasformare il fallimento in occasione di rinascita, prendendo in mano le redini della rivista e reinventandone l’identità.
Da semplice giornaletto scandalistico, Playmen diventa così un laboratorio di idee, linguaggi e provocazioni.
Una pubblicazione che unisce erotismo e intelligenza, bellezza e pensiero, corpo e politica. Adelina riunisce attorno a sé un gruppo di fotografi visionari, giornalisti e intellettuali irrequieti, e con loro costruisce un nuovo immaginario del desiderio e della sensualità. La sua impresa non è soltanto editoriale, ma simbolica: ridefinire lo sguardo sul corpo femminile, sottraendolo alla mercificazione maschile e restituendogli un potere di autodeterminazione. Uno dei temi centrali di Mrs. Playmen è, infatti, proprio la rappresentazione del corpo femminile. La serie si interroga su questioni tutt’altro che superficiali: la libertà, la censura, il desiderio, il diritto al piacere. L’erotismo di Playmen non è usato come semplice strumento di vendita o provocazione, ma come chiave di accesso a un discorso culturale più ampio, in cui il corpo diventa territorio politico. Adelina comprende che mostrare un corpo nudo può essere un atto rivoluzionario sotto più punti di vista.
La rivista mostra un erotismo consapevole, che si oppone alla rappresentazione passiva del corpo femminile tipico della cultura maschilista dell’epoca.

In un’Italia in cui il corpo femminile è ancora un terreno di conquista, Adelina lo rivendica come spazio di libertà. Ed è qui che Mrs. Playmen trova la sua anima più autentica: nel modo in cui intreccia la storia di una donna con la storia di un Paese che sta imparando, faticosamente, a cambiare. La serie ci porta in una Roma vivida e cinematografica: la serie costruisce un’estetica riconoscibile, pop, quasi fumettistica. Gli anni ’70 di Mrs. Playmen sono fatti di neon e sigarette, redazioni disordinate e manifesti censurati, set fotografici improvvisati e notti in cui tutto sembra possibile. Certo, a tratti questa ricostruzione appare un po’ troppo perfetta, come un album di figurine che restituisce più lo stile che la sostanza di un decennio. Tuttavia, il fascino visivo resta innegabile. E in fondo, è proprio questa la chiave: la serie non punta al realismo, ma all’immaginario.
È una favola erotico-politica, un racconto stilizzato in cui l’Italia degli anni Settanta diventa teatro di un risveglio collettivo.
La serie non pretende mai di essere una biografia fedele. Anzi, lo dichiara fin da subito: Adelina Tattilo è un punto di partenza. Gli autori costruiscono attorno a lei una storia universale di emancipazione e resilienza, piegando i fatti alla logica del racconto. In questo senso, Mrs. Playmen è più opera di immaginazione che di memoria. Gli eventi reali vengono ridisegnati per creare un percorso narrativo chiaro. La censura, i processi, i moralismi sono lo sfondo di un dramma personale che si fa collettivo. E anche se gli antagonisti appaiono a tratti un po’ stereotipati – poliziotti e magistrati ottusi, giornalisti perbenisti – quello che conta non è la veridicità dei dettagli, ma il messaggio finale: l’idea che la libertà non è un traguardo, ma un processo.

Netflix costruisce un racconto scorrevole, seducente, che sa di romanzo popolare e di manifesto contemporaneo. C’è qualcosa di profondamente attuale nella battaglia di Adelina per controllare il proprio corpo e la propria narrazione. Guardando Mrs. Playmen, è impossibile non pensare a quante di quelle conquiste – la libertà sessuale, la parità professionale, il diritto di esprimersi – siano ancora oggi terreno di scontro. Questa serie ci ricorda che ogni rivoluzione, anche la più intima, è molto fragile. Alla fine, non è solo la storia di una donna che fonda una rivista scandalosa. È la storia di un Paese che comincia a guardarsi allo specchio e scopre di non riconoscersi più. È un racconto di corpi e di idee, di desideri e di paure.
E di ciò che accade quando si decide di non essere più un oggetto, ma un soggetto del proprio destino.
Mrs. Playmen è una serie imperfetta ma affascinante, che trova nel messaggio di fondo la ragione più profonda del suo valore. È una serie che si guarda con curiosità e in cui si intravede qualcosa di più profondo: il racconto di una libertà che nasce dal coraggio di esporsi. Adelina Tattilo non è un’eroina irreprensibile né una martire del progresso, ma una donna viva, piena di contraddizioni, che osa essere se stessa in un mondo che la vorrebbe diversa. È questo, alla fine, il cuore della serie: non la rivoluzione del costume, ma quella dello sguardo. Guardare diversamente – se stessi, gli altri, il desiderio, il potere – è il primo passo per cambiare davvero le cose. E in un’epoca in cui la libertà sembra di nuovo un bene fragile, Mrs. Playmen ci ricorda che ogni conquista comincia sempre da un atto di disobbedienza e da una pagina da sfogliare senza paura.







