ATTENZIONE: il seguente articolo può contenere spoiler su Mayor of Kingstown 4.
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Kingstown non cambia mai. Possono cambiare i volti, i nomi, le alleanze ma la sostanza resta la stessa. Un ciclo implacabile di potere, tradimento e violenza che si ripete con la regolarità di una maledizione. Eppure, proprio quando sembrava aver toccato il fondo, la città trova il modo di scavare più in profondità. Mayor of Kingstown 4 non si accontenta di sostituire i mostri: li perfeziona. Li rende educati, pragmatici, quasi rispettabili. E in questo nuovo ordine mondiale, dove il caos si veste di ragionevolezza e l’ordine nasconde i suoi scheletri, anche il “sindaco” Mike McLusky rischia di diventare un relitto del passato.
La seconda puntata, Promises to Keep, non è un semplice passo avanti nella narrazione: è già un punto di non ritorno. Perché qui non si tratta più di sopravvivere al crimine ma di capire chi ne detiene la grammatica. E in questa Kingstown riplasmata, dove ogni promessa è un debito e ogni debito va saldato in sangue, emergono figure che non urlano il loro potere ma lo esercitano con un cenno, una stretta di mano, un sorriso che non arriva mai agli occhi.
Mayor of Kingstown 4: il mostro che ti porge la mano
Se in Mayor of Kingstown 4 c’è un nuovo re questo è certamente Frank Moses. Un re che non indossa una corona, ma un completo sobrio e un sorriso che non arriva mai agli occhi. Interpretato da un Lennie James magnetico e inquietante, Moses non arriva per distruggere Kingstown: arriva per sistemarla.
Non è un invasore, come i russi. È un organizzatore. Offre a Bunny trasporto, sicurezza, logistica attraverso gli scali ferroviari che controlla da Detroit. In cambio? Una percentuale del business, ovviamente… e la benedizione di Mike. Moses non minaccia. Propone. E questa è la sua vera arma: la capacità di sembrare ragionevole in un mondo che ha dimenticato il significato della parola.
Durante il loro incontro, Moses fa capire a Mike di non condividere la sua visione di Bunny. Mentre Mike vede in Frank una minaccia mascherata da alleato, Moses interpreta l’alleanza di Bunny come un calcolo strategico pericoloso, quasi una trappola armata. Pur nutrendo forti riserve, Mike decide di non opporsi apertamente, perché sa che Bunny, il suo alleato più prezioso, considera Frank una guida, non un predatore. È proprio in questo scarto tra percezione e realtà che si annida il cuore del dramma dell’episodio. La pace a Kingstown non è più il frutto di un equilibrio fragile, ma una merce da negoziare, con un prezzo che nessuno ha ancora pagato fino in fondo.
Moses non vuole guerra. Vuole stabilità controllata, e la sua offerta a Bunny è un capolavoro di manipolazione: apparentemente generosa (riduce la sua quota) ma strategicamente letale. Perché non sta solo entrando a Kingstown: ne sta ridefinendo le gerarchie. E Mike, per la prima volta, rischia di essere tagliato fuori.
Mayor of Kingstown 4: il sindaco senza regno

Mike è sempre stato l’uomo che teneva insieme i pezzi. Ma in Promises to Keep, i pezzi si stanno sbriciolando tra le sue mani. La sua unica ossessione è salvare Kyle, eppure è proprio questo amore fraterno a renderlo cieco. Minaccia Nina Hobbs in un modo che non aveva mai osato prima: “Qualsiasi cosa accada a mio fratello, accadrà anche a te”. Sembra un avvertimento da gangster. In realtà, è il grido di un uomo che ha già perso il controllo.
Ironia della sorte? È Kyle a mostrare più lucidità di lui. Quando Cindy va in crisi per il suicidio di un detenuto, è Kyle, il poliziotto in prigione, le ossa rotte, la dignità a brandelli, a ricordarle la procedura. Non è un eroe. È un adulto. Mike, invece, corre, ordina vendette, e si affida a Cindy come ultima ancora.
In Mayor of Kingstown 4, il sindaco non sta mantenendo la pace. Ne sta accelerando la fine. Perché la sua reazione all’aggressione di Kyle, farlo vendicare da Raphael, non solo viola le regole non scritte della prigione ma dà a Hobbs il pretesto perfetto per eliminare Carney, il suo unico alleato all’interno.
Nina Hobbs: l’ordine che sa di marcio
Se in Mayor of Kingstown 4 Frank Moses è il caos che si fa ordine, Nina Hobbs è l’ordine che sa di marcio. Edie Falco è perfetta: glaciale, impeccabile, pericolosamente ambigua. Dice a Mike che Kyle è vivo e che è quello che lei aveva promesso. Minimizza l’aggressione. E quando Mike minaccia, lei non trema: ordina semplicemente di riassegnare Carney. Una parola che suona come una condanna. E lo è.
Perché Nina non è ingenua. Sa che Torres parla con i colombiani. Sa che Carney ha visto troppo. Eppure, finge di non sapere. O peggio: gioca la sua partita. Il suo distacco chirurgico, la sua calma quasi rituale, tutto di lei suggerisce che non è lì per riformare Kingstown ma per pilotarne il collasso.
Mayor of Kingstown 4: anime che resistono e che muoiono
La morte di Carney è un colpo basso ma necessario. Non è morto da eroe: è morto da uomo che ha cercato di fare la cosa giusta in un posto dove la cosa giusta spesso è quella sbagliata. La scena è straziante, un vero pugno nello stomaco. Prepara la cena al padre malato, esce di casa… e viene freddato da Cortez. Nessuna musica. Solo il silenzio di una città che non piange i suoi.
In mezzo a tutto questo, Cindy Stephens (Laura Benanti) emerge come una figura fragile ma vera. Non è stupida. Sa di essere un “vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro“, ma non si arrende. E Mike, alla canna del gas, si affida a lei. , le chiede. E lei accetta. Sarà questa la sua salvezza… o la sua prossima perdita?
E poi c’è Tracy, l’eredità vivente di Mariam. Non piange. Non implora. Protesta quando Mike le chiede di fingere che Kyle stia facendo la cosa giusta. È l’unica voce che non bara. E in una città fatta di menzogne, è l’unica speranza che conta. La sua forza non è teatrale. È quotidiana. È nel modo in cui va a trovare Kyle malgrado il dolore, nel modo in cui ribadisce a Mike che la famiglia non è un accessorio alla guerra ma il suo motivo.
Mayor of Kingstown 4: un inferno senza redenzione?

Mayor of Kingstown 4 non racconta una città malata. Racconta una città che ha smesso di sperare di guarire. Ogni personaggio è intrappolato in un ruolo che lo consuma: Mike nel suo senso di colpa, Kyle nella sua lealtà, Hobbs nella sua ambizione, Moses nella sua visione.
Eppure, ed è qui la grandezza della serie, non tutto è buio. C’è dignità nel dolore di Kyle. C’è coraggio nella rabbia controllata di Tracy. E c’è umanità nel panico di Cindy. Non siamo di fronte a un nichilismo sterile ma a una tragedia che sa ancora emozionare.
Tuttavia, emerge una domanda legittima: dov’è la gente comune? Dov’è chi lavora, ama, sogna, senza essere corrotto, violento o complice? La serie ci mostra solo il sottobosco del potere ma non il terreno su cui cresce. E forse è questo il vero limite di Mayor of Kingstown 4: raccontare una città malata ma dimenticarsi che una città è fatta anche di chi non vuole essere malato.
Sarebbe interessante se la quarta stagione ci mostrasse un personaggio onesto che non appartenga alla famiglia McLusky. Ma non sarà certamente un problema se non sarà così. Quello che ci viene proposto è già tanto. Possiamo anche “accontentarci”.
Promesse che non si possono mantenere
Promises to Keep è un titolo perfetto. Perché in Mayor of Kingstown 4, le promesse non si mantengono: si rompono, si tradiscono, si pagano con il sangue. Mike ha promesso di proteggere Kyle. Frank ha promesso pace a Bunny. Hobbs ha promesso di tenere Kyle in vita. Ma le promesse, a Kingstown, sono solo un altro tipo di debito. E i debiti, qui, si saldano sempre in un modo: con la violenza.
Una promessa alla volta, Kingstown è destinata a ripiegarsi su se stessa portandosi appresso tutti i nostri eroi. E se questa seconda puntata è l’assaggio di ciò che verrà, la stagione si annuncia come la più implacabile, stratificata e viscerale finora: non perché aumenti la violenza, ma perché svela la violenza come linguaggio universale di una società senza più parole per dirsi la verità.






