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Mayor of Kingstown 4×03 – Caro sindaco, non va tutto bene

Mike e Ian guardano la città prendere fuoco, in Mayor of Kingstown 4

ATTENZIONE: il seguente articolo potrebbe contenere spoiler su Mayor of Kingstown 4.

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A Kingstown non si piange a lungo i morti. Si seppelliscono, si bruciano, si dimenticano. Non per cinismo ma per necessità. Ogni giorno ne muore un altro, e se ti fermi a piangere, non arrivi alla fine della settimana. È questa la logica implacabile che governa People Who Died, terza puntata di Mayor of Kingstown 4, un episodio che non indulge al lutto ma lo trasforma in carburante per il caos.

Eppure, dietro la violenza spettacolare fatta di lanciafiamme, corpi fatti a pezzi e le pillole nascoste sotto il materasso, c’è una verità più scomoda: Mike McLusky non è mai stato il sindaco di Kingstown. Quello era suo fratello. Mike è solo un uomo che ha ereditato un trono vuoto, senza corona né esercito, costretto a ripetere “va tutto bene, ci penso io” mentre il sistema gli crolla tra le mani. La sua rabbia non è quella di un leader tradito ma di un uomo frustrato, sopraffatto, senza più strategia. Corre da un incendio all’altro ma non ha più acqua per spegnerli. E presto, si ritroverà con nemmeno un granello di polvere tra le dita.

Kyle: la caduta necessaria

Che Kyle prendesse la pillola era inevitabile. Non è un cedimento morale ma una scelta di sopravvivenza. In una prigione dove l’infermeria è un campo di battaglia e il dolore non ha dignità, una pastiglia è l’unica forma di controllo che gli resta. Ma è anche il primo passo verso un’altra verità: sta diventando ciò che Mike è stato. Callahan non gli sta offrendo droga. Gli sta offrendo appartenenza, protezione. Sicurezza. Quella sicurezza che suo fratello Mike sembra non sia in grado di fornirgli.

E in un posto come Anchor Bay, non c’è differenza. La serie non giudica Kyle. Lo mostra semplicemente fare una scelta e scivolare, con dignità, silenzio. Consapevolezza. Sa che ogni passo lo allontana da Tracy, da suo figlio, dalla vita che ha conosciuto. Ma non ha scelta. A Kingstown, la purezza è un lusso. E Kyle non può permetterselo. Ciò che rende Mayor of Kingstown 4 così efficace è la sua capacità di mostrare la corruzione non come una scelta drammatica ma come un processo quotidiano, quasi banale. Una pillola oggi, una parola domani, un silenzio dopodomani.

Frank Moses: il pacificatore che brucia

Frank ascolta ed elabora la strategia migliore per entrare a Kingstown
Credits: Paramount+

Frank Moses si presenta come un alleato, un architetto di ordine. Offre logistica, protezione, persino una riduzione della sua quota. Ma nessuno a Kingstown regala qualcosa senza chiedere il doppio in cambio. La sua alleanza con Bunny è un abbraccio che stringe sempre di più. Non ha fretta, sa che Bunny, prima o poi, gli darà quello che vuole senza nemmeno il bisogno di chiedere. E quando lo farà, Moses raccoglierà i frutti del suo perfido lavoro senza battere ciglio. Se ne sarà ancora in grado, ovviamente.

Perché Moses, nel tessere la sua tela, forse ha fatto il passo più lungo della gamba. Si è definito paladino del “noi” e ha preso a cuore le sorti del suo socio. Forse vuole dimostrargli che non è solo chiacchiere ma anche fatti. E quindi si offre di vendicare la morte, barbara, degli scagnozzi di Bunny, fatti a pezzi e lasciati in una sacca per consegnare il cibo.

La scena del lanciafiamme non è solo spettacolare, è terribilmente simbolica. Non c’è strategia, non c’è precisione. C’è solo un fuoco che divora, indiscriminato, brutale. Persino razzista. I colombiani non sono nemici: sono scarafaggi da estinguere. E il fatto che l’operazione fallisca, che Cortez uccida gli uomini di Frank con la stessa facilità con cui ha ucciso Carney, non è un errore di sceneggiatura. È un avvertimento ben chiaro. A Kingstown, anche la vendetta più spietata è destinata a fallire perché il caos è più intelligente di chi crede di governarlo. Mayor of Kingstown 4 non celebra la violenza, la smaschera come gesto goffo, autolesionista, destinato a generare solo altro caos.

Nina Hobbs: quell’ambiguità che ci piace

Nina Hobbs arriva a Kingstown con la fama di chi ha già messo ordine altrove. Ha il polso duro, la parlata secca, e quella sicurezza da chi crede di poter governare il caos con la sola forza della legge. Forse, finalmente, avremmo avuto un personaggio che non si piegava al sistema, ma lo affrontava con regole in mano e coscienza pulita. Una vera donna di legge, non un’altra pedina del gioco corrotto di questa città.

Ma finora, di quel progetto non c’è traccia. Le pestano i detenuti sotto gli occhi, ne ammazzano uno per rappresaglia, e a Carney sparano a bruciapelo sulla porta di casa. E Nina? Nina continua, imperterrita, a discutere con Mike su chi ce l’ha più lungo. Minaccia riassegnazioni, ribadisce che “Kyle è vivo, ed era questo che avevo promesso”, come se bastasse tenerlo in vita per aver fatto il proprio dovere. Non è riuscita a imporre alcun ordine. Non ha protetto nessuno. Ha solo alzato un muro di parole contro un uomo che le offriva il suo pieno appoggio in cambio di poco.

Ecco, il comportamento del personaggio interpretato da Edie Falco ci risulta ancora ambiguo. Una ambiguità, però, che ci piace. Abbiamo tanti piccoli dettagli che ce la rappresentano come parte del problema e non come soluzione. E quindi siamo qui a chiederci se sia un’idealista finita in un inferno che non comprende. Oppure una pragmatica che finge di non sapere cosa bolle in pentola.

Carney, Cindy, e il prezzo di fare la cosa giusta

Mayor of Kingstown 4 ci insegna che ogni gesto ha una conseguenza. Ritornando alla morte di Carney, ci rendiamo conto che sotto c’è qualcosa che possiamo soltanto sospettare. Il suo intervento per separare Torres dai colombiani, ad Anchor Bay, potrebbe essere il casus belli che ne ha decretato la morte. La realtà è che Carney era un uomo di Mike e come tale andava eliminato. La morte di Carney non chiede lacrime. È stata giusta, necessaria, coerente con lo spirito della serie. A Kingstown, chi si schiera e agisce sotto quel vessillo paga il conto con la vita. Un conto che, prima o poi, tutti devono saldare.

Forse anche Cindy, che non è la speranza di qualcosa di nuovo sotto il cielo plumbeo della città. La donna potrebbe diventare un’altra vittima perché la sua coscienza è impreparata. Lei è sola, con tre figli da mantenere, che accetta un lavoro orrendo perché non ha alternative. Non sceglie il bene o il male: sceglie ciò che la danneggia di meno. E questo la rende reale. Più reale di ogni eroe, più fragile di ogni vittima. Cindy non salverà Kingstown, questo è certo. Noi, intanto, speriamo che riesca a salvare se stessa perché la sua presenza introduce un punto di vista esterno, disincantato, eppure umano. Una lente attraverso la quale lo spettatore può misurare, semmai ne avesse ancora bisogno, quanto sia profonda la caduta di questa città.

Mayor of Kingstown 4: quante cose in una sola puntata

Mike se ne sta sotto la neve, sperando di riuscire a gestire tutto quanto, in Mayor of Kingstown 4
Credits: Paramount+

Mayor of Kingstown 4 non promette salvezza. Non lo ha mai fatto. Fin dall’episodio pilota, con l’uccisione del fratello maggiore dei McLusky, la serie ha detto chiaramente che in città qui non c’è posto per i sogni. Solo sopravvivenza, debiti e silenzi che pesano più delle parole. Eppure, non è una serie cinica. È realista. E con una certa dignità. Non cerca di scioccare per il gusto di farlo ma costruisce ogni scena con una precisione quasi chirurgica. Sa che a Kingstown il problema non sono i morti, ma i vivi, quelli che devono andare avanti, mentire, tradire, amare, pur sapendo che tutto finirà male.

E qui apriamo il capitolo dedicato a Robert Sawyer. Un uomo solo, abbandonato dalla moglie e dal sistema che ha cercato di proteggere e che ora se ne sta liberando. Sawyer è come un cancro: va estirpato perché continua a ripresentarsi.
L’incontro-scontro con Evelyn mostra le carte in tavola, finalmente. Tutti sanno che il poliziotto dovrebbe essere al posto di Kyle ma nessuno ha il coraggio di dirlo apertamente. Perché di Sawyer non ci si può proprio fidare. Di Sawyer tutti hanno paura. Anche la procuratrice, evidentemente, che non formula accuse precise ma punta l’indice seminando allusioni più o meno velate.
Sawyer è distrutto. Non perché la coscienza gli rimorde. Ma perché non può tornare a lavorare, a fare l’unica cosa che è in grado di dare un senso alla sua vita: il poliziotto corrotto e violento.

Mayor of Kingstown 4: sotto con un altro capitolo, per favore

Siamo solo a quota tre episodi, eppure sembra che Mayor of Kingstown 4 abbia già scavato in profondità. Non c’è un singolo personaggio che non sia messo alla prova, non c’è una scena che non porti conseguenze. Non c’è un silenzio che non pesi come un’accusa. La serie ha trovato un equilibrio raro perché riesce a essere brutale senza essere gratuita, complessa senza essere confusa, cupa senza rinunciare a una sua forma di dignità umana.

Di fronte a tutto questo lo spettatore non prova soltanto disagio ma una strana, inquietante attrazione. Perché sa che, per quanto male possa finire, non potrà smettere di guardare. Anzi: vuole di più. Vuole sapere se Mike troverà un ultimo appiglio prima di cadere, se Kyle resisterà alla deriva silenziosa della corruzione, se Nina Hobbs rivelerà finalmente le sue carte. Vuole vedere dove porterà Frank Moses la sua “pace armata”, se Cindy riuscirà a non farsi divorare, e quanto ancora Robert Sawyer potrà restare in bilico prima di trascinare qualcun altro con sé.
Mayor of Kingstown 4 non è solo intrattenimento: è una morsa che stringe, episodio dopo episodio. E per questo, non possiamo fare altro che chiedere: sotto con un altro capitolo, per favore.