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Ode a Peaky Blinders,
alla maestria del racconto,
alla scelta del tempo,
al romanzo perfetto
di un’epoca imperfetta.

Non è semplice. Neanche dopo averci riflettuto fino ad ora. A volte è tutto così spontaneo, altre volte ci vuole una vita. D’altronde la bellezza non la puoi raccontare, ci hanno provato tutti, ma il cuore è un’altra cosa. Ha un linguaggio fin troppo sensato per chi ha sempre provato a capirlo.
Non è un caso che Peaky Blinders abbia trovato posto tra le vene di quel cuore. Ha meritato la sua fama, è arrivato a inquinare persino i sentimenti. È una Serie Tv, ma quando a essere attenti sono tutti i sensi potremmo anche essere davanti al niente, ma quel niente sarà bellissimo. Al di là di qualsiasi limite temporale, ne siamo devoti.

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In effetti un’ode non basta. Bisognerebbe dedicare a Peaky Blinders tutto ciò che un poeta dedica alla propria libertà. Ma sarebbe impossibile, non c’è tempo, non c’è mai abbastanza tempo per scrivere di una storia così perfetta da essere essa stessa manifesto della sua meraviglia.

Ma sarebbe comunque un errore non provarci. Delle cose belle bisogna parlare e Peaky Blinders la bellezza la mostra fin dall’inizio, come preludio a un’opera d’arte da ammirare e incorniciare.

Un’ode non sarebbe abbastanza neanche solo per Thomas Shelby. È la sua storia, raccontata dalla sua astuzia e dalle sue debolezze. Come se fosse la trama di una vita qualunque resa rara dal protagonista. Del passato fa il suo tormento e nella malinconia annega l’alcol e il suo potere. Vuole sempre di più ed è l’unica lezione che può darci. Nel bene e nel male, non cambia la sua morale.

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C’è altro oltre la vita. C’è un altro te oltre te. Quello che non vivi, ma che sai che esiste. L’idea che gli altri hanno di te, della tua malinconia e della tua felicità. Esistono. Come esisti tu. E a volte si fa impellente la necessità di vivere quell’idea, nell’attesa che tu riesca a ricomporti, a riempirti di nuovo. Quell’idea è Thomas Shelby, che vive costantemente nella percezione che gli altri hanno di lui. Nessuno sa chi è veramente, riesce a essere talmente bravo nel destreggiarsi nella confusione da confondersi anche se stesso.
È un guscio vuoto, il contenitore che dentro ha il niente quando si è negli altri. Lo si porta a spasso ma pesa più di qualunque zaino si possa mai portare sulle spalle. È opprimente in tutto il corpo, è il vuoto che pesa, pesa quanto tutto ciò che non si è mai avuto il coraggio di affrontare nella vita. Adesso c’è, è tutto lì, e non gli permette di camminare.

Ma sopravvive, come del resto la tenace impalcatura che nel tempo ha costruito. La famiglia si aggrappa a ogni pilastro. Anche il più lontano è sempre opera sua.

Ed è lui ad arrivare sempre ad un passo dalla sconfitta, quella da cui non si torna indietro. Non ci arriva mai però così tanto vicino da esserne vittima. È l’idea di se stesso che riesce a tenerlo in vita, come una strana e assillante vocina nella testa che non fa altro che ripetergli: ‘riuscirai a essere la menzione di qualcuno un giorno, oppure semplicemente morirai, come hai sempre fatto, senza però poter rinascere questa volta.’

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È questo il segreto, smettere di avere paura. Quando non si ha più niente da perdere la vita è solo un effetto collaterale e sparire per sempre non è una condanna.

Abbiamo avuto paura tutti, quando le note di Red Right Hand cominciavano a sentirsi in sottofondo, ogni volta, come rintocchi di una campana che accenna soltanto l’inizio di una fine imminente.

È la rabbia che però riesce a fermare il gioco. Quante volte si muore nella rabbia.
Diventa terrificante negli occhi di Arthur, da causa si trasforma in effetto. Tutto dipende dal soddisfacimento di quell’impulso che ormai sembra non poter più andare via. È l’unica emozione che non lo lascia solo, ha imparato a fare affidamento su di lei come non potrà mai accadere con le persone. Non si può considerarlo come personaggio-ombra. È per certi versi l’antitesi costruita nei confronti di Thomas, la loro lotta interna, a tratti invisibile, rende Peaky Blinders un prodotto veramente molto complesso. Più di quanto i conflitti reali e visibili possano far ipotizzare.

Una menzione d’onore va ad una delle donne della famiglia. Polly è stata costretta a subire un’evoluzione che le sta divinamente. Ha costruito l’altra parte del potere, quello femminile. Ha spinto la Shelby Company a diventare non solo manifesto di ricchezza ma anche di rivoluzione e progresso.

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Un’ode ha bisogno della sua musica. Tutto in Peaky Blinders è protagonista, anche lo strozzato tipico dei brani della colonna sonora. Dalla già citata Red Right Hand, utilizzata in tutte le sue revisioni stilistiche e di genere, fino ad arrivare ai Radiohead. Un unico brano è sintomo di una scena, di un’unica sensazione, sola e rara. Ogni dettaglio ha senso, come l’ambientazione. Perfetta in ogni sua più piccola sfumatura, adeguata al tempo e alla cadenza inglese.

Peaky Blinders ci ha teso una trappola. L’ha messa in bella mostra così che potessimo accorgercene. È stato questo il suo scherzo, ci ha fatto innamorare distruggendoci pian piano. L’ha fatto e continuerà a farlo.
Perché un’ode non basta.
La bellezza non si racconta…

 

 

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Listen to “Peaky Blinders – Capitolo uno, “Sguardo angelico”” on Spreaker.