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On Becoming a God non è una truffa, è una garanzia

On Becoming a God (in central Florida), non è né carne né pesce. È un coccodrillo. Lo stesso coccodrillo che Kristen Dunst, in una scena della serie, squarta nel garage di casa sua, facendone gocciolare il sangue pericolosamente vicino al seggiolino della figlia neonata.

A questo punto vi starete già chiedendo: ma di che cosa stai parlando? Cos’è questa roba, uno splatter di cattivo gusto? È proprio questo il bello. On Becoming a God è la quintessenza della serie pensata per essere sui generis, e se proprio di genere dobbiamo assegnargliene uno è abbastanza ovvio che strizzi l’occhi al grottesco, pur mantenendosi sempre una comedy e senza mai sfociare nel vero horror. D’altra parte una serie che tratta del mondo delle vendite piramidali, non è che abbia un genere pre-costituito in cui andarsi ad adagiare. Ma c’è un motivo in più con cui si giustifica la stranezza che la rende una serie veramente unica nel panorama di quelle presenti su Netflix: tra i suoi produttori esecutivi c’è il nome di Yorgos Lanthimos. Un nome, una garanzia di una certa atmosfera che solo in sua presenza si viene a creare. E dopo di lui, ancora, abbiamo la stessa Kristen Dunst (che interpreta la protagonista), George Clooney e il regista Premio Oscar Grant Heslov, che ci fanno capire quanto fosse ambiziosa fin dall’inizio la realizzazione di questo progetto. Un’ambizione che, in alcuni momenti, l’ha anche portato a incartarsi su se stesso. Ma di questo parleremo più avanti.

Nella Florida centrale dei primi anni ’90 il sogno americano si coltiva ascoltando audiocassette motivazionali, contenenti la voce del mitologico Obie Garbeu II, fondatore della FAM (Founders American Merchindise) e del Garbeu System, l’unico metodo di lavoro che ti permette di essere finalmente il padrone di te stesso. Travis Stubbs (Alexander Skarsgård) e il suo superiore Cody Bonar (Théodore Pellerin) sono due devoti membri della FAM, che, tra raduni di venditori e mantra da esaltati, si sentono pronti a fare il grande salto e passare di livello. Ma il giorno che Travis si dimette dal suo posto in ufficio per iniziare ad essere “un milionario in attesa”, mandando la moglie su tutte le furie, viene mangiato da un coccodrillo. Così sua moglie Krystal (Kirsten Dunst) si ritrova a gestire la già fragile economia familiare con lo stipendio dell’istruttrice di un parco acquatico, e a fronteggiare le costanti ansie del ex-socio del marito, terrorizzato dal perdere la sua downline più fruttuosa. Dopo vari tentativi di arrangiarsi diversamente, Krystal capisce che se proprio le è stato lasciato qualcosa dal marito è la sua attività nella FAM. Decide quindi di addentrarsi nel frustrante buisiness delle vendite piramidali.

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Al di là del chiaro riferimento alla famosa azienda di vendite multivello, raccontata qualche anno fa anche dal documentario Betting on Zero, On Becoming a God è la serie perfetta per chi mal sopporta le trame prevedibili. Nel mettere in scena una macchietta della Florida anni ’90, costellata di allegorie religiose quando si parla dei membri della piramide FAM e di lotte fra gang avversarie degne delle pagine di un fumetto, On Becoming a God passa le prime 5 puntate a seminare indizi sparsi senza farci capire se e quando saranno utili. C’è un vendicatore che gira a piedi scalzi avvolto in un’impermeabile alla Matrix, una giornalista cocainomane che a giorni alterni si scorda della sua inchiesta, un membro pentito del sistema che cerca invano di avvertire gli altri, una famiglia di finti-ricchi e moltissimi flamingos. Come si combineranno questi elementi?

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In questo senso On Becoming a God strizza l’occhio a un film interattivo, ma senza darci mai la possibilità di scegliere: gli unici con questa facoltà saranno i personaggi, che raramente la utilizzeranno in maniera brillante. Oltre all’imprevedibilità, lo spettatore dovrà fronteggiare un vuoto di empatia tra sé e i personaggi, vuoto che ha lo scopo di mantenerci lucidi e distaccati, proprio come lo rimane Krystal nei confronti della FAM, in cui prende parte solo per necessità e non per fiducia nel sistema. Ogni relazione, anche quelle fisiche, in On Becoming a God sono grottesche, diffidenti, ingannevoli, ed è ingannevole anche la patina di colori saturati in cui è incartata la serie, che apparentemente promette un prodotto pop allo zucchero filato e poi serve in tavola qualcosa di spinoso e mai visto prima.

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Senza fare troppi spoiler, Krystal invertirà definitivamente la rotta una volta scoperto il vero significato della frase motivazionale “There is no money in FAM. Money is in you” e da quel punto inizieremo anche noi a scoprire come gli stravaganti elementi messi in circolazione sono destinati a combinarsi. Tuttavia, nel suo essere un animale esotico – e già per questo non adatta a tutti – On Becoming a God ha anche qualche punto debole, come una certa lentezza nello sviluppo della trama, alla quale bisogna arrendersi per forza se si vuole godere di questo pretenzioso gioiellino. Per il resto, saranno i palati di chi è assetato di prodotti stravaganti a farci sapere se ne è valsa la pena e se più che di una truffa si tratta di una garanzia.

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