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In How to Get Away with Murder sussistono due regole: non avvicinarti mai ad Annalise Keating, tieniti vicina Annalise Keating. Sono due contraddittori. Due realtà che fanno la lotta tra di loro, ma che spiegano bene chi sia davvero la Keating. E’ pronta a salvarti la vita. Lo farebbe a qualunque costo. Perfino quello di sporcarsi le mani. Non si pone alcun limite, agendo sempre nella direzione che prevede una sola strada: la protezione. Ti protegge. Lo fa da qualsiasi pericolo. Una degna alleata in caso di rischi pericolosi.
Ma in mezzo a tutto questo, si nasconde una realtà non sottraibile, che non possiamo mistificare o romanticizzare con la sola protezione della Keating: ti protegge, ma da un pericolo in cui spesso e volentieri ti ha buttato lei stessa. Senza Annalise, probabilmente, potresti stare fuori dai giochi, lontano dalla corruzione, dalla realtà terrificante che si nasconde dentro e fuori le mura di casa sua. Una realtà che Bonnie e Frank hanno conosciuto nel peggiore dei modi, diventando degni alleati di una donna che li ha salvati, e per cui si sentono obbligati a provare solo gratitudine. Perché gli ha salvato la vita. Gli ha dato qualcosa in cui credere, in cui trovare un riscatto personale dopo una vita disgraziata che in cambio di quel dolore non gli ha restituito niente. Ma dove non arriva la vita, arriva Annalise Keating, con tutte le tempeste del caso.

Bonnie e Frank rimangono così ancorati a quel senso di gratitudine nei confronti dell’unica persona che abbia mai davvero voluti salvarli, diventando pedine fedeli al servizio di una donna che gli ricorderà sempre di averlo fatto
In How to Get Away with Murder succedono tante cose. Troppe cose. E Annalise le rincorre una a una, cercando di salvare – e di salvarsi – ancora una volta dalle responsabilità. Costruisce un’unica sola verità, e poi la rende credibile. Questa è d’altronde la natura della serie (spiegata meglio qui). Cerca di alterare i fatti, servendosi di ogni mezzo necessario. E in mezzo a questi strumenti ci sono Bonnie e Frank. Scagnozzi, esecutori, fedeli, mendicanti, fedeli religiosi al credo di Annalise Keating.
Qualsiasi sia la definizione che si voglia dare, non cambia la forma e la sostanza di quel che hanno dentro, e di quel che sono costretti a portarsi dentro. Oltre tutto e oltre tutti. Quando si presentano durante la prima puntata della prima stagione (tra le migliori della Serie Tv) di How to get Away with Murder, sono solo due collaboratori.
Bonnie si presenta a noi come se al mondo non contasse altro che la correttezza. Come se dentro di lei non si nascondesse altro che un duro lavoro e un totale senso del dovere, oltre che profonda ammirazione nei confronti del suo capo. Sembra innocente, come se fosse fatta di porcellana e ogni cosa possa scalfirla. Parla solo di lavoro, ma sempre con una certa timidezza, con il rumore dei passi di chi arriva in punta di piedi e ha paura di disturbare.
Frank, d’altra parte, sembra immediatamente nascondere un lato più disonesto. Non è chiaro quale sia davvero il suo compito: per cosa Annalise gli dia da vivere ogni mese. Ma se c’è un pericolo, è lui che chiama. E se c’è qualcosa da risolvere entrando in azione, è lui che chiama. Con il suo vestito elegante perfettamente stirato, Frank nasconde un passato di cui nessuno, fino all’ultima (pazzesca) stagione, verrà mai davvero a conoscenza. Non lo conosce neanche lui. Quel che sa, è che Annalise l’ha tirato fuori di prigione, gli ha ridato una possibilità. E sa di averla ripagata, in qualche modo, provocandole uno dei traumi peggiori che un essere umano sia costretto ad affrontare.
E il punto è proprio questo: senza Frank, Annalise probabilmente avrebbe potuto avere una vita diversa. Conoscere una nuova forma di amore. Mettersi alla prova emotivamente in un altro modo. E invece niente di tutto questo, perché Frank – senza capire davvero forse fin dove si stesse spingendo – ha annullato tutto questo. Lo ha barattato con un senso di colpa lungo un’intera vita e un segreto non condivisibile con nessuno, se non con Sam, l’unico che lo sapeva. L’unico che, anni dopo, chiede a Frank di ricambiargli il favore del silenzio, seppur chiesto da lui stesso. Un manipolatore in piena regola, ancor più di Annalise Keating. Perché Sam sa benissimo chi sia davvero Frank, Annalise non lo saprà fino alla fine di How to Get Away with Murder.

E così si muovono in punta di piedi, costruendo un legame che li rende diversi da chiunque altro. Sono legati dalla stessa timidezza, dallo stesso timore, dovere e responsabilità nei confronti di chi li ha salvati e poi feriti con la stessa intensità. Quando li conosciamo, Bonnie e Frank sono solo colleghi, forse anche amici, ma non sono nulla di quel che saranno in futuro. Il loro legame sentimentale potrebbe infatti conoscere due letture diverse.
Si potrebbe dire che sia nato completamente a caso, che sia solo frutto di un senso di familiarità con le disgrazie dell’altro, con il senso di dovere nei confronti di Annalise. E si potrebbe dire che, in realtà, ci sia sempre stato. Che fosse sempre lì, anche quando nessuno lo vedeva, neanche loro stessi. Potrebbero essersi riconosciuti immediatamente nel dolore dell’altro, nel modo di cercare – negli altri esseri umani – qualcosa su cui puntare finalmente per avere un po’ di amore in cambio. D’altronde, quanto ad amore, i due non sono mai stati fortunati.
Bonnie proviene da un realtà orribile anche solo da pensare, fatta di abusi e molestie da parte del suo stesso padre. E Frank, invece, è cresciuto con un genitore che non ha mai saputo dargli quel calore che avrebbe potuto fare la differenza. Questi due portano la sofferenza negli occhi, ed è impossibile – per loro – non riconoscerla negli occhi dell’altro. Forse è vero: sono venuti fuori dal nulla, quando Frank era ancora legato a Laurel, e Bonnie piangeva quel futuro perduto – ancora una volta per Annalise – con quella che sembrava finalmente la persona giusta.
E forse è anche vero che il tempismo sia stato ambiguo, che nessuno – in quel momento – fosse davvero pronto a una relazione tra i due. Forse bisognava lasciare più campanellini d’allarme, avvisare. Ma da un altro punto di vista, più generale, forse Bonnie e Frank ce lo hanno sempre detto con la loro complicità. Con la loro accortezza nel non tradirsi mai, mentre tutti intorno lo facevano. Nel crearsi uno spazio in cui – seppur da amici – esistevano soltanto loro.
Forse sono stati creati da Annalise, e noi non ce ne siamo resi neanche conto. Forse è stata una sua magia, come tante delle sue. Forse aveva deciso consapevolmente di mettere insieme in uno stesso studio due persone legate dal dolore, come per farle riconoscere. Come per regalargli, finalmente, quel legame che non avevano mai conosciuto e che solo loro potevano condividere. Magari Annalise Keating è stata una belva anche in questo. Ha visto quel che li attendeva prima che lo facesse chiunque altro. Ha riconosciuto la stessa forma di sofferenza, seppur frutto di sostanze diverse, e ha concesso qualcosa di più a quegli esseri umani raccattati da un’aula di tribunale e da un carcere. Forse.
Nulla di impossibile. Perché è vero che Annalise Keating sa come buttarti giù dal baratro, ma è anche vero che sa come portarti sul punto più alto. Sulla cima più alta del mondo, donandoti quella vista che hai sempre cercato ma che da solo non riuscivi a trovare. E Bonnie e Frank lo sapevano. Lo hanno sempre saputo. E da quel momento, per loro, sono iniziate tutte le glorie. E tutte le disgrazie.





