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Escape at Dannemora – La fuga perfetta

Grazie a Sky Atlantic abbiamo visto in anteprima buona parte della serie Escape at Dannemora. Vi racconteremo un po’ le nostre impressioni.

Tratta da fatti realmente accaduti, Escape at Dannemora è la nuova miniserie da 8 episodi iniziata su Sky Atlantic lo scorso 4 dicembre.

Diretto da Ben Stiller, la Escape at Dannemore ha un cast stellare e trasformista, da Benicio del Toro, Paul Dano fino alla camaleontica Patricia Arquette.

Escape at dannemora

Sky Atlantic ci riprova ancora, dopo la fantastica miniserie Sharp Objects andata in onda a settembre, punta su un’altra miniserie di tutto rispetto. Escape at Dannemora narra le vicende realmente accadute nel lontano 2015 nel penitenziario Clinton Correctional Facility di New York. Andrew Cuomo, qui interpretato da Michael Imperioli, è il governatore dello Stato che guidò la caccia all’uomo di Richard e David (Benicio del Toro e Paul Dano). Insieme i due riuscirono a mettere in piedi la più classica delle evasioni con la complicità di alcune guardie (consapevoli e non) con cui avevano molta familiarità e soprattutto grazie a Tilly (Patricia Arquette).

Un post-it giallo con disegnata la faccia sorridente di un uomo dagli occhi a mandorla e la scritta “Have a nice day” incollato sul canale di metallo da dove fuggirono.

La scena sopra descritta è accaduta realmente, solo da qui si capisce il perché abbia senso investire in un progetto televisivo su una simile storia. Escape at Dannemora si prospetta così una serie d’autore che non punta alla quantità di share, ma alla qualità che vuole mostrare. Difatti va in onda su Showtime, che ha una media bassa di spettatori e si avvicina a prodotti quali Kidding, Ray Donovan e altri.

Escape at dannemora

Ben Stiller, insieme agli sceneggiatori Brett Johnson e Michael Tolkin, ci regala così uno spaccato di vita claustrofobico sulle vite dei detenuti, con uno stile appropriatamente lento e disumanizzante, che piano piano evolve fino alla concitazione delle fughe rocambolesche dagli inseguimenti.

Da sottolineare a più righe la maestosa prova di capacità dell’attrice Patricia Arquette, come Tilly: sotto una maschera di trucco al limite della deformità, è il simbolo/volto degli Stati Uniti rurali. Quelli che fanno lavori umili e poco soddisfacenti, che sognano una vita diversa e che sanno che ogni occasione è buona per scappare dalla loro vita attuale.

Tilly ha un matrimonio triste e insoddisfacente, una vita che vorrebbe cambiare ma senza saper come. Così utilizza ciò che più le riesce meglio, a quanto pare, essere manipolatrice. Lo è molto di più di quanto non la si possa credere e l’interrogatorio, che fa da cornice ai flashback della narrazione, ne è una prova inconfutabile.

Così si fa sedurre dal sogno che rappresentano i due detenuti: una fuga che per lei è sinonimo di strada per il paradiso, una svolta dallo squallore e dalla quotidianità da cui è circondata.

Nulla da togliere al già famoso Benicio del Toro, volto furbo e spietato di Richard: un uomo affabile, apparentemente gentile, che nasconde un animo nero e senza scrupoli. Paul Dano è invece David, un ragazzo semplice, emblema di quegli individui che sono stati più che altro travolti dagli eventi. Sia quando finisce in carcere in primis, che quando tenta la fuga. Un leader e la sua spalla, due soggetti perfetti per supportarsi l’un l’altro in questo piano totalmente fuori di testa.

Escape at dannemora

Ma in un mondo pieno zeppo di serie tv, perché guardarne una per di più in tiratura limitata? Semplice, per la qualità quasi cinematografica che offre. Per l’eccellente lavoro sotto molti punti di vista tecnici e per la storia che narra. 

Una caccia all’uomo squilibrata, una storia appassionante, un cast stellare che fa diventare quasi labile il confine tra finzione e realtà. Ed alla fine dei titoli di coda rimangono le vite delle persone coinvolte e riprese in Escape at Dannemora. Vite reali che sembrano così perfette per una trasposizione televisiva, tanto che ci viene da chiedere: fino a che punto la televisione ispira la realtà e fino a che punto la finzione attinge dal reale?

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