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Dickinson ha trasformato la figura della poetessa Emily. O forse no?

Amatissima tra le proposte della piattaforma di streaming Apple Tv+, Dickinson – che prende il nome dalla poetessa a cui si ispira – è un biopic in salsa teen incentrato sugli anni dell’adolescenza della schiva autrice che si auto impose una vita in reclusione fino alla morte, avvenuta nel 1886.

Elogiata da molti e criticata da altri per aver stravolto la figura della poetessa, questa serie ha sicuramente fatto parlare tanto di sé. Dickinson, a detta di molti, segue l’esistenza di una versione della poetessa che, secondo gli esperti, risulta molto lontana da quella che è stata la riservata e pragmatica Emily della realtà.

La serie si sofferma dunque su un concept più contemporaneo, che adatta il proprio contenuto in maniera tale da ottenere un certo tipo di risultato nello spettatore. L’idea è dunque quella di prendere la poetessa Emily Dickinson, uno dei pilastri della cultura americana, e raccontarne uno spaccato, soffermandosi su come questa sia costantemente affascinata dal tema della morte.

Dickinson – Tra realtà e finzione

Dickinson

Il risultato sperato è quindi ottenuto: mettere di fronte allo spettatore una rappresentazione che fa fatica ad accettare. Ossia Emily Dickinson che fuma una canna e balla musica hip hop. Allo stesso tempo, però, porta lo spettatore italiano – paese in cui l’opera letteraria non è così conosciuta – a compiere uno sforzo in più per apprezzarla, spiazzando gusti e aspettative.

 “Questa è la mia lettera al mondo che non ha mai scritto a me”

I richiami alle opere sono presenti eccome. In una delle prime puntate vediamo la famosa carrozza della poesia 712: “Se non potevo fermarmi per la morte/lei gentilmente si fermò per me/ la carrozza portava noi soltanto/ e l’Immortalità”.

Ma la serie, come anticipato, racconta la sua storia romanzata, partendo da un’adolescenza tormentata, con una famiglia che schiaccia la protagonista e non solo non la sostiene nei suoi sforzi artistici, ma cerca di incastrarla nei ruoli tipici e forzati dell’epoca, ovvero quelli di casalinga e moglie perfetta. La madre quindi le organizza ogni giorno incontri con spasimanti che vorrebbero prenderla in sposa. Il padre la adora, ma solo quando sta alle sue regole. La povera Emily passa così le proprie giornate sospesa tra frustrazione, ribellione e noia, in un circolo vizioso da cui non riesce a uscire.

Emily Dickinson è stata realmente così?

Dickinson è quindi il racconto della gioventù di un’artista, che in questo caso non ha mai lasciato la casa, permettendo la costruzione di un plot che porta a soffermarsi più su di lei che su chi o cosa la circonda.

Ma allora cosa non ha funzionato? Perché il personaggio è stato così tanto accusato? Come avrete sentito, la coppia Alena Smith e David Gordon Green, rispettivamente creatrice e regista, è stata accusata di aver trasformato un personaggio di tutto rispetto in un agglomerato fatto dei peggiori stereotipi sulle teen series. Ambientazioni passate ma teenager con atteggiamenti attuali, un plot che avrebbe potuto funzionare se trama, dialoghi e vicende fossero stati resi più accattivanti.

La seconda stagione, che ha fatto il suo debutto su Apple TV+ quasi un anno fa, ha visto la protagonista affrontare la prospettiva della fama. Da questo punto di vista risulta particolarmente importante la figura di Sam Bowles, editore di un giornale che vuole pubblicare le poesie di Emily. L’editore è realmente esistito, e nel corso della sua vita ha sul serio incontrato Emily Dickinson, instaurando con lei un profondo rapporto. Ma in questo caso, sappiamo che ciò che vediamo nel rapporto tra i due non corrisponde a realtà, o comunque non totalmente, in quanto non esistono abbastanza fonti ufficiali in gradi di documentare i fatti in maniera attendibile.

Emily Dickinson come non l’avete mai vista

Dickinson

Proprio così, non esiste frase migliore per concludere questo articolo.

Una serie che può creare discussioni attorno a sé, ma che per ovvi motivi non ha risposta alla domanda iniziale che ci siamo posti. Un agglomerato di temi “seri” e toni “leggeri”, destabilizzanti per la storia alla quale si ispira e per ciò che invece ne viene fuori: una commedia a tratti bizzarra che sfocia talvolta nell’assurdo, dandoci e togliendoci la certezza che si sia ispirata alla vera Emily di continuo.

Se di dubbi ce ne sono tanti, la certezza è che per godersi questa serie bisogna a tutti i costi abbandonare qualsiasi pretesa di realismo. Bisogna accettare un passato presente, in cui il tempo e i temi dell’epoca vengono attualizzati con prospettive moderne. Una serie che, più che testimoniare, intende raccontarsi in maniera leggera e scherzosa, senza pretendere di essere qualcosa di più.

Tra realtà e immaginazione, passato e presente, abituarsi non è un gioco da ragazzi. E anche alcuni temi talvolta risultano forzati e affrontati con superficialità, tipo la morte o la sessualità.

La nota ossessione della scrittrice per la morte, infatti, viene evidenziata in una maniera inaspettata, ma forse troppo difficile da accettare: questa si presenta letteralmente a casa di Emily a bordo di una carrozza, interpretata dal rapper Wiz Khalifa.

Insomma, Dickinson non ha totalmente stravolto il personaggio di Emily, ma ne ha tratto ispirazione per un prodotto seriale, che come molte serie prima di questa, si pone obiettivi ardui da raggiungere.

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