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Cabinet of Curiosity: l’horror di Del Toro fa male, ma serve

In pieno stile Guillermo del Toro, Cabinet of Curiosities ci restituisce una sorta di testamento spirituale del regista. Otto storie per otto registi diversi, emergenti o già affermati, tutti scelti accuratamente dal maestro del brivido Del Toro. Nell’introduzione di ogni episodio è il regista stesso a introdurci la storia a cui assisteremo, spiegandoci anche l’origine del termine da cui nasce la serie. I gabinetti delle curiosità, una sorta di Wunderkammer o scatole delle meraviglie, dove possiamo trovare le cose più variegate: da oggetti antichi di ogni tipologia a raccolte di libri, o persino oggetti che rientrano, in pieno stile Del Toro, nel mondo dell’occulto.

Ebbene, queste otto storie sono tutti racconti che attingono dal mondo dell’orrore, del macabro e del thriller, celando però nel nucleo una morale; tutte le storie vogliono raccontarci qualcosa (quale la perdita di un caro, quale l’avidità, la paura di come gli altri ci vedono e di come ci vediamo noi stessi), e non sono quindi mai scontate.

Un consiglio? Non fermarsi MAI in superfice quando Del Toro è in azione.

Cabinet of Curiosities: uno scrigno di terrore e ossessione

Cabinet of Curiosities (640X360)

La serie antologica di Del Toro, molto attesa tra i fan del genere e dai critici, ha un sapore che ricorda molte delle sue passate produzioni cinematografiche. Basti pensare a Il Labirinto del Fauno o ancora a Crimson Peak, e che dire de La forma dell’acqua. L’immaginario di riferimento però è ben più datato: le storie prendono forma da racconti di scrittori vecchi maestri del genere horror, a cui il regista ha sicuramente attinto. Sto parlando ad esempio del maestro H.P Lovecraft, le cui storie sono state oggetto di attenta analisi da tutti i maestri dell’orrore, dell’incubo.

Le otto storie selezionate con cura da Del Toro, di durata variabile dai 40 ai 60 minuti, sono tutte diverse ma con un unico filo conduttore che è quello del “fare paura”, ossessionare e creare inquietudine nello spettatore. Devo essere sincera, alcune storie non mi hanno appassionata, non per il modo in cui queste vengono rappresentate ma per la loro durata approssimativa in alcuni casi, e prolissa in altri. Prendiamo il primo episodio, per esempio. Lotto 39, diretto da Guillermo Navarro, si concentra negli ultimi 10 minuti finali lasciandoci con domande a cui non risponderemo mai, aspettative altissime che non saranno mai ripagate.

Ci sono invece altre storie degne di essere gustate. Sto parlando dell’episodio 4X01, L’apparenza, della regista Ana Lily Amirpour e dell’episodio 8×01, Il brusio, della regista di Babadook Jennifer Kent. In entrambi i casi, a differenza delle altre storie ben più cupe, non vedremo mostri o oggetti del terrore, ma quello che fa paura è ben più radicato dentro di noi. Nel primo caso la parabola è quella dell’accettazione di sé, delle apparenze altrui che poi ricadono su di noi. Questo episodio è educativo oltre che ben realizzato.

Nel secondo caso, invece, al centro c’è il dolore di una coppia di ornitologi, dopo la perdita improvvisa della figlia. Il modo in cui ci viene presentata la morte, facendo anche un paragone con il modo in cui nidificano gli uccelli, è molto delicata, quasi romantica, ma nello stesso tempo orribile e inquietante.

La vera serie la fanno i personaggi

Cabinet Of Curiosities
Il Brusio (640×360)

Diciamocelo: da Del Toro in Cabinet Of Curiosities forse ci si poteva aspettare di meglio, nonostante non sia lui il diretto responsabile di alcune delle storie che hanno fatto storcere un po’ il naso. Quello che però fa la differenza sono l’atipicità (o la tipicità) dei personaggi. In ogni storia il protagonista è uno e ha caratteristiche specifiche, talvolta stereotipate che rappresentano un tipo ideale della società americana e non.

Il personaggio de I Ratti del cimitero è avaro, quello di Lotto 39 è dispotico e pure razzista, da buon veterano, il personaggio de L’apparenza è la classica donna insoddisfatta della propria vita che vive sulle vite degli altri. Questi sono solo alcuni del personaggi ma potrebbe essere esteso anche agli altri. La forza della serie risiede proprio in loro, alcuni ci fanno riflettere altri ci fanno ridere, per la banalità delle loro azioni.

Cabinet of Curiosities è quindi un sì perché non è una di quelle serie antologiche senza spessore. Certo fa male, ma serve. La pecca è che molte delle storie raccontate non hanno corpo, si perdono strada facendo. Sarebbe stato meglio farne un paio in meno ma maggiormente definite.