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Le parole sono importanti, spesso sono l’unica arma in nostro possesso per riuscire a difenderci. Altre volte, purtroppo, servono come arma di offesa, come il più velenifero dei coltelli. Se poi ci trasferiamo in oriente, le parole prendono forma, sono masse distinte e lineari, nette. Non a caso le lettere che formano la parola sono disegnate, sono quasi un antico geroglifico egiziano che ci mostra mentre leggiamo a cosa stesse pensando lo scrittore di quel testo. Sono immaginifiche. E noi siamo proprio lì, nei paesi del sol levante, precisamente in Corea Sud. In una non precisata città del paese e in un non precisato tempo presente, 455 uomini e donne vengono condotti in un parco giochi mortale. Questa, lo avrete capito, è Squid Game. Questo è il circo mortale dove si esplica il mondo. Un gioco secolare della predominanza oltraggiosa dei potenti sulle masse inermi. Parlavamo però di parole, ecco, ce n’è una che oggi, per la nostra storia, sarà fondamentale e fondamentale sarà il suo significato e gli errori che ruotano attorno a esso. Gganbu.

Alcuni lo hanno definito il malvagio demiurgo che muove i fili del gioco del calamaro, altri come un anziano signore dolce e gentile, per tutti però è sicuramente uno dei protagonisti di Squid Game. Ggganbu è un termine che serve a indicare un forte legame tra due persone. Gganbu è un amico speciale, non il migliore amico, ma un amico di cui potersi fidare e con cui condividere tutto. C’è però un altro significato recondito dietro al termine di Gganbu, per certi versi controverso. Gganbu è un amico di quartiere. Se tu sei il mio Gganbu, io e te non abbiamo alcuna tra me e te. E qui, che il nostro gioco inizia signori. Da questi giochi di parole che vogliono dire tutto e niente iniziamo la nostra storia. Al mondo ci sono tante storie, ma ce n’è una, più grande di tutte le altre storie: quella che racconta il mondo. La storia degli uomini, delle loro debolezze e delle loro forze. E oggi parleremo di una storia di un uomo che, fino alla fine, ha giocato a dadi, o biglie che dir si voglia, con il mondo.

Qui, per voi, per gara 1 degli speciali dedicati a Squid Game: Federico Buffa racconta Oh Il-Nam.

squid game

Lasciamo però le biglie in un angolo, per un secondo, teniamolo lì per dopo. Spostiamo le lancette dell’orologio, muoviamole in maniera antioraria, scorriamo i minuti, le ore e i giorni. Facciamo un salto indietro nel tempo, perché per capire il presente e il futuro bisogna assolutamente conoscere il passato. Il signor Oh Il-Nam è un anziano coreano che si ritrova catapultato nel mondo di Squid Game, non sappiamo perché, nemmeno per come. Sappiamo solo che è lì, insieme a altri 455 giocatori. Il giocatore 001 è un vecchio saggio, un pioniere che ha navigato nel turbolento fiume della vita e che si avvia verso la foce del greto, verso la calma, verso il placido mare della morte. Oh Il-Nam è malato, ha un nodulo al cervello e conta i giorni che lo separano da quell’oceano di luce, dove il corpo diventa più leggero, dove l’anima lo abbandona e vola libera, sfiorando l’acqua come gli uccelli che provano a nutristi della fauna ittica. Non conosciamo la storia di Oh Il-Nam prima di Squid Game, ma posso raccontarvi quello che è successo lì.

Il giocatore 001 è indiscutibilmente un tallllllleeeeento incredibile, un veterano di altri tempi. Non usa la forza, la proietta. Ha una tecnica di gioco incredibile, si muove prima degli altri perché sa tutto quello che deve fare prima degli altri. L’unica cosa che sappiamo del suo passato è che un giorno, nel quartiere dove abitava Oh Il-Nam, un bambino stava giocando a pallone. Per colpire la sfera si sbucciò un ginocchi ed era proprio davanti a casa del signora, ancora non anziano. Colui che sarà il giocatore 001 uscì per medicare il piccolo, e gli disse queste testuali parole: “Non mollare piccolo bambino un giorno sarai grande”. Quel bambino oggi gioca nel Tottenham e tutte le domeniche emoziona migliaia di tifosi con le sue giocate. Quel bambino era Henug-min Son, Oh Il-Nam questo non lo saprà mai, ma questa, come dicono i saggi, è un’altra storia. La storia Oh inizia quando deve scegliere se interrompere il gioco durante una votazione. Il vecchio coreano decide di fermare le danze, ma come in tutte le grandi storie la luce fa il suo giro e dopo pochi giorni i giocatori decidono di tornare nell’isola e contendersi il premio in denaro.

Squid Game, No game for old men

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E così il gioco ha inizio. Sangue, morte, dolore e sofferenza. Niente di diverso però dalla vita di tutti i giorni. Questo è il grande insegnamento di Squid Game: la vita è un gioco, il gioco è la vita. Entrambe le cose sono drammatiche e entrambe sono causa di dolore. Proprio Oh Il-Nam una volta ha detto, riferendosi a quella scelta di fermare il gioco, una frase che rimarrà nella storia: “Quando sono tornato a casa, ho capito che quello che dicevano era vero. La vita qui è un inferno perfino maggiore”. Ed è vero. Oh ha ragione, Oh ha capito tutto, da navigante esperto quale è. E il vecchio signore è arrivato a capire tutto perché è un passo avanti agli altri, perché quando uno è vicino a quella Nera Signora chiamata morte, vede tutto con più chiarezza. Ma per Oh Il-Nam non è arrivato ancora il momento di morire, non subito. Deve prima condurre i giocatori per mano, sul percorso di Squid Game. Le sue azioni sono increeeeeedibili. Nel primo gioco, Uno, due, tre.. stella, si muove e si destreggia come un calciatore professionista. Si trasforma in un felino che si muove con sapienza e sinuosità, sorridendo come una iena affamata. Nel secondo gioco iniziano i problemi, perché quel dannato zucchero caramellato a forma di stella è davvero difficile da ripulire.

In quel momento però vede il suo futuro Gganbu, un altro tallllleeeento incredibile di Squid Game, che lecca il dietro del biscotto per sciogliere lo zucchero e riesce anche lui a salvarsi. Qui inizia il rapporto tra i due, un rapporto come quello che c’è tra un padre bisognoso e un figlio disposto a tutto pur di dargli una mano. Ma il gioco è crudele e metterà il genitore contro il figlio putativo. Prima però c’è ancora da giocare. La terza prova è quella in cui Oh Il-Nam manifesta la sua palese superiorità, la sua visione di gioco incredibile. Nel tiro alla fune la strategia del vecchio saggio porta i suoi alla vittoria e mostra a tutti che la forza non potrà mai superare e battere l’intelletto umano. Non era la prima volta che Oh giocava al tiro alla fune, un altro episodio del suo passato oscuro ci porta indietro negli anni. Il giocatore 001 era ancora giovane e con gli amici del suo quartiere era pronto a sfidarsi con i campioni di Hong Kong. I coreani ovviamente trionfarono grazie a Oh Il-Nam e un giovane avversario rimase talmente scioccato dall’abilità di Oh, che iniziò a non usare la forza, ma a proiettarla come l’avversario. Quel giovane era Bruce Lee e avrebbe segnato la storia del cinema d’azione a stelle e strisce. Oh Il-Nam non lo saprà mai, ma questa ovviamente è un’altra storia.

Ma per Oh Il-Nam non c’è un lieto fine.

È nel quarto gioco che cala il sipario della vita di Oh, o così sembra. Gioca a biglie insieme e contro Seong Gi-hun, il vecchio sa quello che sta per succedere, sa che è il momento di farsi da parte e abbracciare finalmente la Nera Signora. Cede l’ultima biglia a Seong e rimane in quella che crede sia casa sua per essere giustiziato. Il gioco continua, sanguignamente, e alla fine nel gioco del calamaro trionfa proprio il suo Gganbu, Seong. Ma in realtà in gioco non finisce, perché Oh Il-Nam è ancora vivo e attende sul suo letto di morte il suo amico di giochi. È la fine della storia, di una di quelle storie che contano forse poco, ma mai niente. Oh sta per spirare e insieme al suo Gganbu fa un ultimo gioco, un’ultima scommessa. I due si concentrano su un senzatetto ubriaco abbandonato sotto la neve e sotto lo sguardo incurante degli abitanti della città, che lo superano senza curarsi di lui. Qualcuno si preoccuperà di lui entro mezzanotte?

Questa l’ultimo gioco tra i Gganbu. Seong si fissa sul barbone che a un minuto dalla scadenza viene soccorso. Oh Il-nam però ha deciso di morire da giocatore, da talleeeento quale è. Questa volta è finita davvero, il giocatore 001 chiude la sua vita con uno scherzo, con una scommessa, con una boutade finale degna del suo ruolo. E noi vogliamo ricordarlo con un pezzo storico, immaginifico, che rimarrà per sempre nella storia del rock mondiale. Una canzone che racconta l’addio a un certo tipo di infanzia, di concezione che quello che è stato non potrà più essere. Una lettera scritta da un eterno bambino che non ha mai smesso di rimanere tale, nemmeno a 90 anni. E la canzone è The End, composta da un paroliere che ci ha lasciato troppo presto, ma che per 6 anni è stata la voce e l’anima dei Doors: The Lizard King, meglio noto come Jim Morrison. E The End sembra perfetta per salutare per sempre il nostro antieroe, il nostro Oh Il-Nam.

This is the end, beautiful friend, Questa è la fine, mio amico magnifico.
this is the end, my only friend. Questa è la fine, mio unico amico.

The end. La fine.

It hurts to set you free, Lasciarti libero mi spiace assai
but you’ll never follow me. Ma tu non mi seguiresti mai.
The end of laughter and soft lies, Fine di sorrisi e di bugie leggere,
the end of nights we tried to die. Fine di notti in cui provammo a morire.

This is the end. Questa è la fine.

Rest in Peace Oh Il-nam, Rest in Peace.

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