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Rapina al Banco Central – La Recensione della nuova miniserie Netflix con Miguel Herrán

Miguel Herran interpreta numero 1 in Rapina al Banco Central
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ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste incappare in spoiler su Rapina al Banco Central.

Uscita lo scorso 8 novembre, Rapina al Banco Central è una miniserie spagnola targata Netflix. Le cinque puntate dirette da Daniel Calparsoro (Tutti gli uomini di Dio, Operación Marea Negra e L’avvertimento) sono l’adattamento di un libro scritto dalla giornalista catalana Mar Padilla. La cura di questo adattamento è stata affidata a Patxi Amezcuai (L’avvertimento, Desaparecidos e Operación Marea Negra).
A produrre per Netflix troviamo Pilar Amer Fuster, già conosciuta per Tomorrowland – Il mondo di domani, Nowhere e Fleming: Essere James Bond, mentre per la fotografia è stato scelto Tommie Ferreras (Tutti i nomi di Dio e Operación Marea Negra).

Rapina al Banco Central è una storia vera

I tre protagonisti di Rapina al Banco Central
Credits: Netflix

La nuova heist serie di Netflix racconta una interessante storia: la rapina al Banco Central di Barcellona, avvenuta il 23 maggio del 1981. Esattamente tre mesi dopo il tentativo di golpe fallito adoperato da alcuni franchisti che presero d’assalto il parlamento spagnolo. Un fatto realmente accaduto, la rapina, forse poco conosciuto al pubblico italiano.
È un tranquillo sabato mattina nel capoluogo della Catalogna. La sede della banca, situata in Plaza de Cataluña, a due passi dalle mitiche Ramblas, è piena di gente, circa trecento persone tra dipendenti e clienti. Undici uomini escono da auto parcheggiate lì attorno. Attraversano la strada mentre indossano passamontagna. Attorno a loro i passanti hanno già capito e cominciano a fuggire. Gli uomini entrano in banca e ne prendono il possesso avviando quella che ancora oggi è un’impresa non del tutto chiarita completamente.
Le cinque puntate ci raccontano un momento storico importantissimo per una nazione che da pochi mesi era divenuta una democrazia dopo un lunghissimo regime dittatoriale gestito da Francisco Franco, el Caudillo.
La morte del dittatore, avvenuta sei anni prima (1975), è un macigno che pesa su tutta la miniserie. Il fantasma del Generalissimo aleggia nell’aria e incombe sui personaggi che, seppure non ne parlino praticamente mai, ne sono fortemente influenzati. Del resto, che vi sia un legame tra il mancato golpe e l’assalto al Banco Central è il primo pensiero dei protagonisti che si trovano all’esterno. Non fosse per la data simbolica del ventitré.

Finzione e realtà si mischiano per raccontare la Storia

Per le vie attorno alla banca, bloccate dalla polizia, troviamo due giornalisti: Berni e Maider. Il primo, interpretato da Hovik Keuchkerian (Bogotà ne La casa di carta), è un fotografo avanti negli anni, con una brutta tosse e la predilezione verso le fiaschette piene di alcol. La seconda invece, interpretata da María Pedraza (Alison Parker ne La casa di carta) è figlia d’arte ed è al suo primo incarico giornalistico. I due si trovano a documentare quanto accade nelle prime ore dopo l’assalto. Maider, infatti, ha ricevuto una telefonata nella quale viene messa al corrente che in una cabina telefonica attorno alla banca c’è una busta. Dentro la quale sono presenti le richieste da parte dei rapinatori.
Sul posto e con il testo tra le mani, i due giornalisti si scontrano con il commissario di polizia anti-rapine Paco Lòpez, interpretato da Isak Fèrriz (The Diplomat, prima stagione) il quale ha il dovere, per conto della cittadinanza barcellonese, di risolvere la situazione. Una situazione che diventa intricata quando si aggiunge la Guardia Civil, direttamente inviata dal governo centrale di Madrid. I poteri presenti in campo si intrecciano creando due, diverse, linee d’indagine: quella legata alla malavita e quella legata alla matrice politica.

Tante domande, poche risposte

Nel caveau della banca il gruppo di rapinatori indice una votazione
Credits: Netflix

All’interno della banca, invece, il gruppo di undici uomini è comandato da José Juan Martínez Gómez. Realmente esistito, il rapinatore di banche è interpretato da Miguel Herrán (Rio in La casa di carta). E si dimostra fin da subito deciso a perseguire il suo piano senza fare del male agli ostaggi. Naturalmente, lo zampino del destino manda a monte il programma del rapinatore costretto a restare dentro alla banca più del dovuto. Fino ad abdicare il ruolo di numero uno nei confronti dei compagni di rapina, i quali non sembrano più intenzionati a dargli fiducia.
Dopo oltre trenta ore usciranno tutti, ostaggi e banditi. Questi ultimi per finire direttamente in mano alla polizia che li arresterà tutti e undici e li porterà in prigione per gli interrogatori. Da questo momento, e per tutta l’ultima puntata, lo spettatore verrà spostato dalla trama heist a una spy, decisamente più interessante, la quale cercherà di dare una spiegazione valida di tutto quanto visto (e realmente accaduto) fino a quel momento.

Rapina al Banco Central avrebbe tanto da dire ma non osa farlo

Rapina al Banco Central non è un granché. Assolve bene il suo ruolo di intrattenimento, è un piacevolissimo tuffo nel passato di un paese straniero, ma ha delle mancanze piuttosto notevoli. Non è un documentario storico ma nemmeno prende il coraggio di dire la sua opinione su un evento così importante. Dà l’impressione di voler raccontare con piglio giornalistico gli avvenimenti di quel 23 maggio ma al tempo stesso ha dei buchi di trama piuttosto palesi dovuti a un eccessivo esercizio di stile.

Mentre la narrazione scorre divisa su diversi fronti vengono inserite le storie dei personaggi principali. Alcune limitandosi all’uso dell’ormai arcinoto ‘o dimo‘, altre invece, come quella drammatica di Maider, con flashback. Le informazioni che però ricaviamo non aiutano a farci un’idea del carattere dei personaggi. E nemmeno del periodo storico in cui ci troviamo. Sembrano, semmai, un motivo per riempire il tempo e portare a casa la giornata. Fatte bene, per carità. Soprattutto quella di numero 1. Col difetto però di non aggiungere niente di particolarmente stuzzicante alla trama. Soprattutto non aiutano a rispondere alle domande che sorgono spontanee nello spettatore.

Si doveva fare di più e invece

Miguel Herran interpreta numero 1 in Rapina al Banco Central
Credits: Netflix

Perché, di fatto, Rapina al Banco Central non è altro che la classica heist serie già vista, soprattutto su Netflix. Sembra quasi che gli spagnoli, capacissimi di fare serie tv, abbiano cercato di ripetere il successo de La casa di carta, puntando soprattutto sulla spettacolarizzazione dell’evento. E tralasciando tutto quello che, invece, c’è stato dietro. Occorreva osare di più per fare breccia nel cuore degli spettatori che ormai hanno bisogno di stimoli sempre più precisi e acuti per sentirsi ben coinvolti. Insomma, se drammatizzazione era, tanto valeva farla davvero, sbilanciandosi di più sulla parte politica e sociale. Anche perché le spiegazioni date sugli eventi di contorno (si fa per dire visto che parliamo di colpi di stato), raccontate con immagini di repertorio, per il mercato straniero non sono sufficienti. Incuriosiscono ma obbligano ad aprire, come minimo, la pagina di Wikipedia accanto.

In definitiva, Rapina al Banco Central è un prodotto godibilissimo, con una buona regia e una bella fotografia capaci di ricreare un’ottima ambientazione anni Ottanta. Il cast è bravo, indubbiamente, e la colonna sonora capace di sostenere un accompagnamento musicale degno di nota. Gli episodi scorrono piacevolmente, senza particolari intoppi, lasciando allo spettatore un interesse nel proseguimento tale da fargli venire voglia di guardarne un altro. Ciononostante non resterà nella memoria degli spettatori perché troppo simile ad altri show del genere.
L’originalità della storia, cioè la parte dei servizi segreti, della politica franchista e dei suoi strascichi, della commistione tra malaffare e politica, del golpe mancato, delle teorie del complotto che ancora oggi non sono chiare, eccetera eccetera, è lasciata all’immaginazione degli spettatori ed è un peccato. Si parte con una spettacolare rapina, si toccano argomenti scottanti ma non si Insiste maggiormente su questa trama che avrebbe reso questa miniserie molto più intrigante e ne avrebbe fatto un prodotto davvero degna di nota.