Avevo 8 o 9 anni e, dopo alcuni eventi traumatici in famiglia, cominciai ad avere degli attacchi di panico. Quando si palesavano a scuola, le maestre dicevano che sarei dovuto andare dallo psicologo e la cosa generava, nel me bambino, ancora più inquietudine e frustrazione. Io non ero pazzo, ribattevo, Non ero pazzo, pertanto non avevo bisogno dello psicologo. Era un assunto ingenuo e infantile, il mio, ma non sono certo il pioniere di questa associazione mentale. Che la psicoterapia sia una roba appannaggio per “pazzi” è una credenza sopravvissuta fino ai giorni nostri. Tony Soprano provava a nascondere le sedute dalla dottoressa Melfi: non si doveva diffondere, nel suo ambiente, il sospetto che fosse pazzo.
Quando uscì I Soprano, l’accoppiata “terapia e pallottole” non era di certo una novità. Qualche anno prima era appunto uscito il film con Robert De Niro, boss mafioso, e Billy Crystal, nei panni di uno strizzacervelli e, nel 2002, ci sarebbe stato anche un sequel, Un Boss sotto stress, meno fortunato in termini di popolarità, ma comunque molto godibile. L’ispirazione di David Chase è palese, ma le attinenze finiscono lì. Quella del boss in terapia è solo uno spunto narrativo. Mentre la duologia di Harold Ramis dava vita a gag divertenti e brillanti, la serie HBO affrontava il tema della terapia psicologica in maniera più approfondita e complessa.
La mente di un boss mafioso analizzata nel dettaglio come chiave di volta per comprendere come funziona, più in generale, la mente umana. Il boss del crimine organizzato come pretesto per risaltare il conflitto interiore dell’individuo, come provocazione per trovare un po’ di luce perfino nell’oscurità più buia. Il macrocosmo nel quale il boss opera, le dinamiche mafiose, per sdoganare le pratiche e abbattere gli stereotipi della psicoterapia.
Tony Soprano è una persona più complessa di come saremmo abituati a descrivere un boss.
Credits: HBO
La copiosa letteratura sulla Mafia è piena zeppa di codici comportamentali che vogliono uomini d’onore privati di ogni debolezza, perché anche la più innocua potrebbe ritorcersi contro ed essere usata dai nemici – o dai traditori – per minare il loro potere. In un certo senso, un boss è il soggetto perfetto da analizzare sul piano introspettivo, in quanto estremizzazione di dinamiche cognitive che sono presenti in buona parte di noi. Non serve, infatti, essere un malavitoso per pensare che l’elaborazione emotiva possa essere un attacco alla nostra virilità. O che, più in generale, la terapia stessa possa essere vissuta come una minaccia alla mascolinità. Sono pensieri meno radicati rispetto alle generazioni passate, ma ancora presenti nella nostra società. Pertanto, se l’intento de I Soprano è quello di rappresentare la crisi del maschio tradizionale, costretto a confrontarsi con emozioni e colpa in un mondo che non le ammette per rigetto o ignoranza, non esiste figura più idonea.
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