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Caro diario, sono io, Suzie. E oggi vorrei essere proprio questo: solo Suzie. Vorrei essere una donna qualsiasi che lega i capelli scompostamente e scende di casa con la prima felpa che ha trovato nell’armadio, perché è di corsa e deve passare al supermercato a comprare qualcosa per il pranzo prima di lasciare suo figlio a scuola. Mi piacerebbe essere una Suzie qualunque nel traffico della mattina, mentre calcolo quanto tempo mi ci vorrà per tornare a casa e prepararmi per il lavoro. Invece sono la Suzie dei giornali, quella delle foto pixellate perché troppo scandalose da mostrare integralmente. Sono la Suzie che deve vergognarsi. L’attrice e madre di famiglia a cui piace essere libertina e che un po’ se l’è cercata. Quella che ha cercato di travestirsi da santa e in realtà è sempre stata un serpente. Questa è la Suzie che il mondo vede, quella di cui si parla nei social. L’hashtag “I hate Suzie” è in trend su Twitter da settimane ormai. E come faccio a biasimare la gente che vede solo questo di me? Come faccio a contraddirli? Mi odierei anche io. Cavolo, mi odio anche io.

i hate suzie

Ho parlato con Naomi poco fa. La sua telefonata alle 7 del mattino è un’abitudine consolidata nel tempo, ma ora è un salvagente. L’unica certezza su cui possa contare in un frangente in cui tutto sembra venire giù come un castello di carte sotto il peso di una mano che trova divertimento nella distruzione. E quella mano, sfortunatamente, è proprio la mia. È per questa sensazione di senso di colpa e vergogna che Naomi mi ha consigliato di vedere uno specialista, qualcuno che segua solo me e non me e Cob in quanto coppia in crisi. Dice che devo concentrarmi su me stessa, per una volta, che devo smetterla di imbiancare la facciata di Suzie Pickles e cominciare a spolverare gli interni di Suzie-e-basta. Non ho mai pensato a quanto siano distanti queste mie due facce: quella in favore di camera e quella che non si riflette in nessuno schermo. A volte è come se non ci fosse alcuna continuità tra queste due persone, come se fossero due estranee: se incrociassi per strada me stessa, alcune volte potrei non riconoscerla.

Forse arriverò al punto in cui io stessa scriverò post dopo post sotto l’hashtag I Hate Suzie: chi meglio di me potrebbe.

Anche mio figlio percepisce questa distanza fra sua madre e la persona che ogni tanto vede apparire in tv. La percepisce così profondamente che odia quel viso nello schermo e preferisce cambiare canale. Ora la tv è sempre spenta, perché i programmi di gossip mandano in onda la faccia dell’altra Suzie a ripetizione e nessuno di noi vuole vederla. La maggior parte del tempo fingiamo che non ci riguardi, che questa storia sia una seccatura di cui si occuperà qualcun altro. Io temo che sia l’ennesima spaccatura dentro me stessa: sta nascendo una terza Suzie, non più attrice, a breve non più moglie, ma solo una madre single che beve da sola seduta nella vasca da bagno, in attesa di un nuovo ingaggio che non arriverà. 

Quando eravamo ancora due bambine Naomi mi diceva: “si parlerà di te”, se solo avessi conosciuto tutti i risvolti di quella frase avrei potuto risponderle che avrei preferito qualcos’altro. Avrei preferito essere una persona più stabile, più matura, più oculata nelle sue scelte. Qualcuno su cui poter contare. Invece, ora come ora, neppure io posso contare su me stessa. Non mi fido per niente. E come potrei? Non ho previsto che il solo fatto di scattare foto così compromettenti avrebbe potuto ritorcersi contro di me. Non ho saputo capire di che tipo di uomo mi stavo infatuando mentre mio marito era all’oscuro di tutto. Non ho saputo proteggere mio figlio dall’avere una madre che è sulla bocca di tutti. E, a dirla tutta, non sono una di quelle mamme accoglienti e rassicuranti di cui lui avrebbe bisogno adesso. Non so preparare pancake che siano tutti uguali, né mi viene mai in mente di fargli disegni buffi sul piatto con la marmellata per farlo ridere (mia madre con me lo faceva sempre). A volte dimentico di caricare la lavatrice e lui non può indossare le sue t-shirt preferite per la scuola. Compro i cereali sbagliati. Non riesco a farmi dare un abbraccio prima che entri in classe. E ora sono anche la mamma si cui si vergogna terribilmente.

E questo è peggio di qualsiasi altra voce nell’elenco delle cose in cui Suzie Pickles ha disatteso le aspettative.

A volte, comunque, mi stanca provare tutto questo rancore verso me stessa. Riesco addirittura ad annoiarmi nel leggere i tabloid e i commenti contro di me. E tutte le pagine web che hanno come slogan I Hate Suzie Pickles diventano troppo simili a se stesse e ripetitive. Qualcosa di originale l’ho trovato: qualcuno ha photoshoppato la mia faccia sul corpo di un personaggio Disney e ha aggiunto la didascalia “la principessa sul pisello”. Lo schifo e lo sconforto sono durati poco, ho riso quasi immediatamente. Se solo la gente sapesse che senza tutta questa storia sarei stata davvero la prossima principessa Disney farebbe meme anche peggiori. Dicevo, però, che mi stanca provare così tanta pietà per me stessa. Un po’ perché le persone che si lamentano troppo non piacciono a nessuno e un po’ perché le parole di Cob hanno un fondo di verità anche se mi fanno incazzare: “chi è causa del suo mal pianga se stesso”, dice lui. Che è un po’ come dire: arrangiati e affronta da sola gli effetti di ciò che hai fatto. Il suo lasciarmi da sola è un modo per colpirmi nel vivo e leccarsi le ferite dell’ego contemporaneamente. Mi ha sempre vista come una ragazzina da indirizzare sulla retta via e io gli ho dato un’ottima occasione per appolaiarsi su un trespolo e farmi la paternale, ma in fondo ha sempre avuto ragione, no? “Suzie è fatta così, Suzie ha i suoi momenti, Suzie è persa nei suoi sogni patinati”, sono le frasi che ha sempre usato per descrivermi. E ora riesco a immaginarlo mentre le ripete aggiungendo quel giusto tocco di superiorità e disprezzo che vedo anche nel suo sguardo. Forse è proprio lui il primo sostenitore del movimento I Hate Suzie.

i Hate Suzie

Così ho deciso che anche io ho diritto a una mia versione dei fatti, qualcosa che sì, forse è intriso di piagnistei, ma che riporti anche le considerazioni della vera Suzie. Quella che respira sotto il trucco e che prova un gran prurito sotto gli abiti di scena. Forse prima o poi seguirò il consiglio di Naomi e andrò dallo psicologo, ma per ora temo che anche un professionista possa guardarmi e accusarmi come fanno Cob e il resto del mondo. Perciò un diario, una lettera a me stessa, sono le cose che posso fare al momento per riuscire in quel compito impossibile che nessuno vuole svolgere: prendermi per mano e portarmi dall’altra parte di tutta questa storia. 

Voglio dire questo a me stessa, caro diario:

Suzie, tu ce la farai. Non sei migliore o peggiore di nessuno perché non stai gareggiando con il resto del mondo e neanche contro te stessa. Stai solo cercando di capire chi sei veramente quando il riflettore si spegne e perché hai la sensazione che nella tua vita sia stato impostato il pilota automatico. Hai subito una battuta di arresto, ma dopo saprai rialzarti. E se vuoi aiuto allora chiedilo: dell’aiuto si ha bisogno, non devi fare niente per “meritarlo”. E bada bene che la gente cercherà di smentire tutto quello che ti sto scrivendo: tu non credere a niente, solo a te stessa. Perdonati, accettati. Domani sii la Suzie che vuoi essere. E smettila di odiarti.

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