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Viserys Targaryen: perché se chiudo gli occhi, il mondo continua a esserci

La mente vaga nella saggezza come mai prima, nel pallido tepore di un letto che ti circonda la vita, i cui rilievi diventano giorno dopo giorno più alti e che sembrano ormai contenerti e non sostenerti. La spietata indolenza del letto che prende sempre più la sua esile forma, per Viserys Targaryen, diventa il tempio di una religione avida e masochista. In quel tempio, il personaggio motore di House of the Dragon veste d’oro ciò che ha perso, coprendo volto ed errori con una maschera. Accettando che, forse, tutto ciò che uno può fare è finire con i giusti rimorsi.

Nel processo di trasfigurazione di sé, il personaggio di Viserys Targaryen diventa l’elemento chiave dell’intera saga, perché nella sinuosa violenza della Danza dei Draghi lunga un’eternità riecheggia quell’elemento scaturente il cui vettore è egli stesso: un sogno, una profezia. Eppure quel sogno non è che l’abito da sera del tormento. Del trauma.
L’intero conflitto, la sempiterna frattura che muove il moto ondoso dei sette regni, diventa “colpa” di quel Re la cui ossessione era rimediare a un torto. La disperata caccia alla redenzione di un uomo che con la sua sola sofferenza, e col tentativo di contenerla, ha causato una guerra. La crepa nell’anima di Viserys si apre durante il parto di Aemma, dinanzi alla scelta che scinde le due parti del Re Targaryen. Sono le sue due anime le prime a scontrarsi, amoreggiare, muoversi con l’acida armonia di un’interazione che nasce passionale e cresce violenta. Furenti e mai sazie, coinvolgeranno tutti coloro che le circondano nel ritmo incalzante che intercorre tra vita e morte.
Cosicché la danza – dei draghi – abbia inizio.

House of the Dragon
House of the Dragon (998×501)

Il Viserys del primo episodio è tremendamente diverso dal Viserys che chiude l’ottavo episodio della prima stagione (intitolato The Lord of the Tides) e che decreta la fine della sua danza. La sua trasformazione fisica è inversamente proporzionale a quella psicologica: il volto terso e i fulgidi capelli sono una maschera ben più coprente di quella che indosserà in punto di morte, perché utile a nascondere un uomo inizialmente inadatto. Viserys era l’uomo che ignorava Rhaenrya prima come padre, e altrettanto gravemente come Re, con l’unica priorità di assicurarsi una successione “convenzionale” ottenendo un figlio maschio. Lo stesso uomo che sottopone a pressioni Aemma, la moglie che afferma di amare sopra ogni cosa, e che vessa dopo la perdita di cinque figli. Nessuno di questi varrà la sua integrità d’animo, perché la sola fiamma di cui sentirà vagamente il calore sarà la perdita di Aemma stessa. Ma lui ancora non lo sa. Perché nell’ardore della battaglia (ottenere Baelon, l’agognato figlio maschio), il risultato è per lui più importante delle conseguenze. Perdere anche Baelon, più tardi quel giorno, cambierà tutto.

Qui Viserys Targaryen assume che la sua ossessione ha ucciso Aemma, prendendo coscienza di una verità oltre la realtà, che si sarebbe disvelata solo senza l’accecante bagliore del successo derivante dal sacrificio (ciò che rappresentava Baelon, risultato della morte di sua moglie). Viserys idealizza la donna nella sua funzione, ama l’idea di sua moglie più di quanto ami Aemma. Così come Robert Baratheon con Lyanna Stark, è il senso di colpa e il disprezzo di sé di Viserys a tradurre l’ossessione e generare il transfer verso l’unica cosa che gli resta di sua moglie in quanto idea: Rhaenrya.
Ecco dunque che l’inconscio comincia a muovere i primi passi parallelamente alla malattia, e come la più beffarda e nefasta delle combinazioni l’uomo probo nascerà dalle ceneri di un corpo compromesso: Rhaenrya beneficerà di un generoso credito dettato dalla compensazione, e tutto l’affetto proiettato da suo padre verso l’idea di Aemma si riverserà involontaria su di lei. Viserys non ama Rhaenrya più di quanto non l’amasse già, eppure ama il fatto che sia l’idea di Aemma. Nello stesso modo in cui i figli di Cersei erano estensioni di Cersei e quelli di Tywin erano estensioni di Tywin, o ancora Margaery fosse un’estensione di Olenna, così Rhaenrya in House of the Dragon diventa un’estensione di Aemma nella mente di Viserys.

A tal proposito, anche Larys userà una frase chiave sul fatto che l’ossessione di usare i bambini per ottenere una sorta di “immortalità” sia comune.
Viserys la cerca per sua moglie, appagando una forma di espiazione che non per questo è meno egoistica. Ancora una volta, egli amerà un’idea quando nominerà Rhaenyra sua erede solo per riscattarsi, in fondo, e preservare l’eredità di Aemma. Sarà non sconfessando se stesso, decidendo di non cambiare più la successione pur avendo ottenuto tre figli maschi, che sconfesserà il suo passato. A questo punto Viserys non desidera più la sopravvivenza della sua linea di successione, ma l’immortalità di Aemma.
La sua vittima, il suo rimpianto più grande. Quel giusto rimorso in punto di morte.

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House of the Dragon ci mostrerà un Viserys Targaryen esausto e per questo paradossalmente più lucido. Saggio perché ignaro, giusto perché pentito, vita sottile ed etereo risultato del valore che si tempra nella difficoltà. Sarà quel valore a regalare gli attimi più gloriosi della sua sovranità. Stanco ma mai rassegnato, con lo scoraggiante futuro dipinto in grinze come la sua pelle di prugna, il Re dei sette regni dipingerà d’impresa una semplice ma non facile camminata, protetto dal timore reverenziale di occhi incapaci a mantenere lo sguardo, mentre “striscia” verso il Trono di Spade, prendere lo scomodo posto che gli spetta, e proteggere Rhaenyra.

Fa rumore pensare tra i cocci delle ossa fragili, con la vista annebbiata dalla propria ombra, che per Viserys Targaryen è nient’altro che l’oscurità lasciatasi alle spalle. 
Fa rumore la sua esistenza, quella corretta e spesa per creare il suo mondo proiettato al futuro. Quello che osserva in punto di morte e di cui ora va fiero, inconsapevole redento in un mondo che brucerà per il potere di cui godeva il suo pentimento.

Un mondo che può immaginare nell’attimo che precede la morte, mentre siede al tavolo con la famiglia che ha preteso riunita, con la tenera autorità di un capofamiglia che sa di non avere una prossima occasione. Quel momento, quel breve ma perfetto momento, dona a Viserys l’immortalità del pensiero.

Gli dona un mondo che, se chiude gli occhi, continua a esserci.
Il mondo che basti essere perfetto nel momento in cui cala il sipario, mentre il fiato si accorcia per l’ultima volta.

Il mondo che ha distrutto per lei, come ha distrutto lei.